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"Horten", tra nostalgie e paradossi

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Un film norvegese. Di un regista, Bent Hamer, incontrato finora in qualche festival. Il personaggio che ci propone è un macchinista delle ferrovie, Horten appunto, che sta andando in pensione dopo quarant'anni di servizio. I colleghi lo festeggiano e gli fanno anche un regalo. Lui si adegua, né lieto né triste. Impassibile, senza reazioni evidenti. Anche quando una donna, anziana come lui, gli dice che forse adesso non si vedranno più (fino a quel momento sembra che gli preparasse solo da mangiare al ritorno dal lavoro). Avanti così. Un mancato incontro con degli amici, un incontro invece con un bambino che lo guarda con simpatia, una curiosa passeggiata di notte in cui si ritrova a camminare su dei tacchi a spillo rossi («non sono le mie scarpe», dice), finendo per imbattersi in un vecchio steso per terra. Non è però un barbone, lo aiuta a rialzarsi, lo accompagna in taxi in una bella casa piena di belle cose dove l'altro lo informa di essere un diplomatico e di avere la capacità di guidare l'auto con una benda sugli occhi. Subito dimostrandolo ma, durante il tragitto, accasciandosi all'improvviso sullo sterzo, morto. L'altro automaticamente eredita il suo cane e dopo un po' incontra anche il fratello del «diplomatico» che gli rivela di essere lui il diplomatico, l'altro però era un inventore geniale, pur poco apprezzato. Il finale vedrà Horten, con il cane al guinzaglio, ritrovare la donna da cui sembrava essersi separato. Si sorridono, forse credendo in un futuro. L'imperturbabilità del personaggio, la sua totale mancanza di reazioni. Il segno del film, la meta cui, ad ogni svolta, tende la regia non spiegando dei fatti quasi niente. I dati si enunciano, il personaggio li vive muovendosi nel loro ambito, tenendosi sempre su un piano rigorosamente oggettivo, tanto che, oltre a tutto il resto, non ci vien mai precisato se quel pensionamento gli pesi o, come sembra, lo lasci del tutto indifferente. Una cifra, forse, che non coinvolge ma che, sul piano del gusto e dello stile, può convincere. Per merito anche di un interprete, il danese Bard Owe, che anche fisicamente se ne appropria. Con mimica immobile.

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