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Cannes resta lontana dall'Italia

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{{IMG_SX}}Da critico, da conoscitore attento del cinema italiano dal dopoguerra ad oggi, sento di poter sostenere che Bellocchio, con quel film, ha realizzato la sua opera maggiore e che Giovanna Mezzogiorno, interpretandolo, ci ha dimostrato, nel dramma, nel dolore, nella disperazione di aver legittimamente raccolto il testimone di Anna Magnani, quella di «Roma città aperta», della «Voce umana», di «Nella città l'inferno», di «Bellissima». Per merito, naturalmente, della finezza, della sensibilità e del saldo dominio di tutte le espressioni anche più difficili con cui Bellocchio l'ha aiutata a creare il suo personaggio. Un personaggio dolorosissimo — una moglie letteralmente «cancellata» da Mussolini e spinta scientemente negli abissi della pazzia — risolto prima narrativamente poi stilisticamente con rigore e sapienza. Al centro di un film in cui la cronaca e la storia, spaziando dagli anni Dieci ai Quaranta, erano rappresentate con ritmi velocissimi resi più autentici, anche visivamente, da immagini di severissima finzione accompagnate ad altre, che quasi le assimilavano, riprese con creatività geniale dal repertorio cinematografico dell'epoca. Per far due volte vero. Un capolavoro. Come in questi anni il cinema italiano ha ripreso a proporci con commovente generosità.   I premi sono importanti, certo, ma io ero nella grande sala del Palais alcune sere fa e alla proiezione di «Vincere» sono stato testimone di un successo come di rado i festival ci offrono: tutto il pubblico in piedi e, verificati con l'orologio, dodici minuti di applausi scroscianti punteggiati ad ogni momento da grida forti di «Bravò». Bellocchio, Giovanna Mezzogiorno e gli altri interpreti non ci dimenticheranno. I veri premi sono quelli.

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