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Dall'epopea zingara a Ferdi l'integrato

Ferdi Berisa ha vinto il Gf9

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Quest'anno Il grande fratello ha riservato una grossa sorpresa. Ha vinto, riuscendo a ben convivere per settimane con sconosciuti, Ferdi, un rom. Di lui si dice che è cresciuto senza genitori, che lo abbandonano ancora bambino; che è venuto in Italia, clandestino, dal Montenegro; che ha vissuto per anni con i soliti espedienti zingareschi. È stato per qualche tempo in una casa di correzione; tornato libero, ha cominciato il mestiere di cuoco a Fano, poi ha tentato l'avventura del Gf. Ha vinto 300 mila euro, ed ha parlato dei suoi progetti: si comprerà una casa, tornerà a scuola, frequenterà l'università. Ferdi dunque può essere considerato un segno e un preannuncio di un cambiamento radicale di costume e di cultura tra gli zingari? Tutti lo speriamo. A me gli zingari sono simpatici, ma molti, i più, li guardano con sospetto, perché raramente esercitano un mestiere regolare, e girano da un luogo all'altro, non tenendo molto in considerazione il settimo comandamento. All'epoca della civiltà contadina rubacchiavano galline, oggetti dimenticati nei cortili, qualche bicicletta. Quand'ero bambino e vivevo coi nonni in campagna ogni tanto si spargeva la voce: "A son rivâts i zìngars!!". Non era proprio un allarme rosso, ma le donne si precipitavano a richiamare il pollame nel gallinaio, a raccogliere la biancheria stesa ad asciugare su fili di ferro, a mettere le biciclette sottochiave nelle rimesse e nelle cantine. Abitavano nei loro carrozzoni scalcinati, tirati dai cavalli, i "wurdon"; parlavano un linguaggio incomprensibile, di matrice asiatica, ma modificato e arricchito da parole europee, balcaniche e tedesche.   Era un popolo misterioso e affascinante anche se, quando si accampavano nelle vicinanze, lungo fiumi e torrenti, era necessario adottare qualche misura prudenziale. Erano nomadi come molte popolazioni slave e tedesche mille anni fa, e dunque rappresentavano esempi storici viventi di tempi lontani. A volte facevano il mestiere di battirame o i sensali di cavalli; o fabbricavano poltroncine e tavolini con giunchi flessibili; ma per lo più vivevano di espedienti, alla giornata. Gli zingari non pianificano il futuro. Non si pongono i problemi dell'economia, del lavoro, dell'energia, delle risorse, dell'organizzazione sociale. Con l'avvento della civiltà industriale cominciarono a girare con roulottes trascinate da automobili sgangherate. Talvolta si fecero stanziali e occuparono casali lasciati da famiglie contadine, scese in città per lavorare nelle fabbriche. Ma da dove vengono gli zingari? Circolano molte leggende. La più accreditata è che siano di origine asiatica, anzi indiana. Sarebbero una specie di sottocasta di quel popolo, quella dei giocolieri, degli acrobati, dei giullari, dei musicanti, che rallegravano le mense dei nobili, dei vojvoda del mondo balcanico, perché erano stati costretti da chissà quali violenze ad abbandonare la patria. Uno zingaro, Sindell, nel secolo XV° venne accolto da re Sigismondo di Boemia e fatto sedere alla sua tavola per meriti musicali. Quando Dimitri Karamazov decide di dare una gran festa, quasi orgiastica, con Gruscenka, la sua donna, fa venire gli zingari musicanti. Molti di essi, specie quelli dei Balcani, sanno suonare il violino, già a 5 o 6 anni; da dove viene la loro istintiva dote musicale? Da quale misteriosa potenzialità della natura e dell'universo? Si son chiamati Rom e Sindhi, che vuol dire Signori e Uomini liberi, mentre per noi sono un popolo di straccioni e di ladruncoli. Noi, per contro, siamo i "Gagè", che vuol dire contadini. Non hanno quasi una cultura scritta, ma soltanto orale. Non possiedono una letteratura, ma una matassa di leggende tramandate di padre in figlio. Ora però è possibile trovare tra loro qualche scrittore, o storico, o professore universitario. Ogni tanto si riuniscono nella Camargue o altrove per eleggere un re o una regina; o anche per celebrare un funerale, affidando il cadavere a una barca incendiata e spedita in alto mare. Ciò avviene spesso nel villaggio chiamato Le Tre Marie, alle foci del Rodano. Non hanno mai costruito una città, ma neppure ne hanno distrutte, né hanno mai combattuto una guerra. Sono stati sempre fuori dagli schemi feroci della storia e del potere.   Nel complesso sono così affascinanti, per me, che nel 1988 dedicai loro un romanzo, Il caldéras. Il protagonista, Sindel, perduta la famiglia, diventa stanziale ed entra nella storia, di cui è appassionato. Ma per questo dovrà pagare un prezzo altissimo. Partecipa alla Resistenza e muore. Spero con tutta l'anima che Ferdi abbia migliore fortuna. Probabilmente solo la scuola può risolvere il problema dell'integrazione degli zingari. La storia del vincitore del Gf ci induce a sperarlo.

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