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Carlo Sgorlon era a Udine, in casa di suo padre ammalato, la sera del 6 maggio 1976, quando una scossa di 50 secondi portò la morte in Friuli.

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«Incittà apparentemente nessun danno, con mia moglie andammo a cercare i parenti. Tutti sani e salvi - ricorda - Poi ci recammo a Raspano, la frazione di Cassacco, il paese dove sono nato, per vedere se la nostra casa di campagna avesse avuto lesioni. Niente. Eppure lì erano caduti 19 edifici». Nessuna tragedia personale, ma il sisma entra in due romanzi di Sgorlon, raccontato nel modo favoloso che gli appartiene. Ne «La carrozza di rame» (1979) la saga di una famiglia di contadini si conclude con un terremoto. In «La tredicesima notte» (2001) un capitolo rievoca la ricostruzione del duomo di Vezzone, paese medievale sconvolto dalla terra che tremava. «I friulani vollero che tutto fosse ricostruito come prima - dice Sgorlon a Il Tempo - Della cattedrale di Vezzone, del XII-XIII secolo, raccolsero le pietre, le numerarono con la vernice rossa, per poterle rimettere insieme. Nulla riuscirono a fare per gli affreschi della chiesa. Nel libro io immagino che un pittore li rifaccia con la sua sensibilità, ma assai simili. Anche quello era un modo per ricominciare«. Li. Lom.

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