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L'Apocalisse purificatrice del ciclone Anselm Kiefer

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GabrieleSimongini Si sente come l'aria di un'apocalisse purificatrice nella bellissima mostra di Anselm Kiefer inaugurata ieri dalla Gagosian Gallery ed aperta fino al 23 maggio. Ma è un'apocalisse che porta con sé una continua rinascita e l'idea di una inesausta trasformazione della vita stessa. Del resto, ha detto il grande artista tedesco, a cui spetta forse la palma di maggior visionario dei nostri tempi, «le macerie sono come il fiorire di una pianta, il culmine radioso di un incessante metabolismo, l'inizio di una rinascita». Ecco allora accoglierci nella grande sala ovale di via Crispi otto sculture con pile irregolari di pesanti libri di piombo coronati di volta in volta da frammenti di terracotta, ceramica, filo spinato, vetro, residui di qualche tragica esplosione. E dietro ognuna di queste inquietanti presenze plastiche c'è un labirinto di riferimenti ancestrali o moderni, dal mito greco alla Cabala, dall'Antico e Nuovo Testamento alla storia di Roma antica e alla poesia di Ingeborg Bachmann e Paul Cèlan. Fra le opere più intense spicca quella intitolata «Sternenfall» (Stelle cadenti) con una pioggia di schegge vitree sulle quali sono scritti i numeri corrispondenti alle stelle della nostra galassia. E così Kiefer ci parla dell'ardua via che porta alla spiritualità, delle illusioni e dei falsi miti della storia, del tempo, del cosmo, della vita e della morte. Ma a monte di questo c'è la certezza quasi orientale che tutti si rigenera rinnovandosi. Di forte impatto sono pure alcuni grandi collages elaborati su fotografie ed ispirati ai «Sette Palazzi Celesti» (2005), titaniche torri in cemento e piombo realizzate dall'artista per l'Hangar Bicocca a Milano. Ne è protagonista Ararat, la montagna dove si fermò l'Arca di Noè dopo il diluvio universale. In fin dei conti Kiefer, il primo artista vivente chiamato a creare un'installazione permanente per il Louvre, ci invita ad avventurarci in un percorso iniziatico in cui niente è scontato e banale, tanto da richiedere concentrazione e silenzio per lasciar parlare il nostro occhio interiore. Senza dubbio è la mostra più emozionante fra quelle finora proposte alla Gagosian Gallery.

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