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Antonio Valente

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GabrieleSimongini Per lui il mondo era un gran teatro da riempire con innumerevoli scenografie dinamiche e mutevoli. E così la modernità delle invenzioni di Antonio Valente (Sora 1894-Roma 1977), architetto e scenografo trascurato in Italia forse anche per la sua spiccata vocazione internazionale, merita senza dubbio una riscoperta che ha preso avvio ieri per poi proseguire in seguito con una mostra promossa dal Comune di Roma. Al Teatro dei Dioscuri si è infatti tenuto il convegno «Il futurista Antonio Valente e l'80° anniversario della realizzazione del Carro di Tespi», organizzato dal Sindacato liberi scrittori italiani e dal Centro Studi Futurismo. E giustamente Giorgio Muratore ha definito Valente un «intellettuale a tutto tondo del ‘900 europeo capace di distinguersi per la sua trasversalità di interessi»: teatro, cinema, urbanistica, ecc. Un uomo vivace e curioso che ha stretto rapporti lungo gli anni venti col fior fiore dell'avanguardia europea a Berlino e a Parigi, da Gropius con il suo prodigioso Bauhaus a Jean Cocteau. E poi il rapporto col futurismo, la stima nei suoi confronti di Enrico Prampolini e dei fratelli Bragaglia, la partecipazione all'International Theatre Exposition di New York, dove era radunato l'Olimpo della scenografia internazionale. Fra i suoi innumerevoli progetti vanno almeno ricordati il Centro sperimentale di Cinematografia di Roma appositamente ideato come scuola modello con i suoi straordinari teatri di posa, il Carro di Tespi (1928), vero e proprio teatro popolare ambulante e tante splendide ville, soprattutto a San Felice Circeo. Carlo Fabrizio Carli e Luigi Tallarico hanno giustamente sottolineato gli innovativi approdi di Valente nella scenotecnica e negli allestimenti espositivi. Mentre l'uomo è stato ricordato dalla vedova, Maddalena Del Favero Valente. Ancor oggi per tanti aspetti insuperate dal punto di vista creativo restano le sue scene mutabili a vista mediante effetti di luci colorate. Futurista sì, ma con un occhio ben puntato sul passato, Valente seppe idealmente collegarsi col Carro di Tespi alla nascita della tragedia greca per poi attualizzarla con una macchina teatrale itinerante che si montava e smontava in poche ore per portare gli spettacoli in quei comuni che non avevano un teatro stabile. Pregevole intuizione dell'Opera Nazionale Dopolavoro che finirà di girare l'Italia con l'avvento della televisione.

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