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Lo scellerato a caccia della vera anima di Roma

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Quando Giovan Battista Piranesi arriva a Roma, nell'ottobre del 1740, è un giovane ambizioso, intelligente, curioso. Innamorato di Borromini, vuol fare l'architetto. Ma è sceso, al seguito del corteo del nuovo ambasciatore veneziano Francesco Venier, con l'incarico di "disegnatore". Ha vent'anni. "Roma quanta fuit…": il veneziano Piranesi, che parla e scrive l'italiano, sa un po' di latino e conosce l'agrimensura, comincia subito. Scava, disegna, misura, copia. È un lavoratore infaticabile e s'impossessa di Roma palmo a palmo, strisciando sulle rovine o innalzandosi sopra le colonne, carponi o sospeso. Roma ritorna, memoria perduta e rovina insigne, magistra eterna nelle arti che stanno per cedere lo scettro del primato alla Grecia riscoperta da Johann Joachim Winckelmann. Roma ritorna, immenso patrimonio che sembra reclamare e implorare proprio quella nostalgia, malinconica e scura, che, sola, può far rinascere l'istinto della grandezza. La solidità e la forza, l'orgoglio anche. Piranesi è di Venezia, a casa lo chiamano Zuanne, ma lui diventa Gio. Batta, come si usa in città. Vuol diventare cavaliere, e ci riesce, vuol diventare architetto, e ci riesce. Riuscirà a interpretare la grandezza perduta sotto la protezione dei cavalieri della terra santa, Santa Maria del Priorato. Lascerà un sogno di chiesa, che non è chiesa ma tempio, di Roma romana e di Roma cristiana, sempre grattando, come l'ultimo dei garzoni, dilaniandosi le unghie per scoprire i segreti dell'eternità. Disegna e incide. Nascono le Visioni di architetture e prospettive, le Opere varie di architetture, Grotteschi o Capricci, le Vedute di Roma. Poi le Carceri d'invenzione. Rinasce Roma, assetata di gloria e di riscatto. Resuscita dentro la grandezza grottesca delle architetture immaginate, incubo barocco e novecentesca fantasia, di scale e pertugi, chiarezza e oscuro, e labirinti, e biografia. La Vita scellerata di Giovan Battista Piranesi non è un racconto semplice, stretto com'è tra le ambizioni di un veneziano, carico del bagaglio dell'antica nobiltà della Repubblica che lasciava, e l'incognita della Roma "moderna" a cui ambiva. La "croce e la sfinge", come dice il titolo dell'appassionata biografia che Pierluigi Panza dedica all'artista (La croce e la sfinge - Vita scellerata di Giovan Battista Piranesi, Bompiani, pp. 220, 18 euro) restituisce scenari e persone, protagonisti e operai di quell'impresa, la vita di Piranesi, che fa saltare cariche e onori, ordini e classi, per il solo amore di Roma. Vita concentrata e disordinata, mangiata e bevuta tra gli operai, gli inglesi e i cardinali ("canirandagi lavorate"). Scrittura veloce e incalzante, incalzante come fu la vita del figlio dei profughi dell'istriana Pirano, la biografia di Panza conduce a Santa Maria del Priorato con filologia e convinzione. Uno scrigno di simboli, gettato al futuro con la scellerata ambizione che animò l'uomo. Padre di un rivoluzionario fallito, Francesco; ma rivoluzionario lui, veneziano alla scoperta di Roma, dei romani antichi e dei cavalieri, della immensa grandezza, rimpianta, disegnata, incisa, resuscitata, onorata, ma viva, eterna, tra prostitute e rocchi disfatti. Roma.

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