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La forza della sofferenza in un libro

Paola Turci in concerto

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È il dolore? La paura? Un carattere distratto? O un rapporto sbilenco con quest'uomo che, standole accanto soltanto con i suoi chili, sembra farle come da contrappeso, un'ancora per la sua anima aerea, stordita? Si gira, mi sorride. Mi sussurra il suo nome, Adele. Vuole fare amicizia? Se, però, non viene un po' più avanti non ce la faccio a tenerla tutta nel mio sguardo fermo, limitato come quello di un cavallo di città. Questa donna è come una mano tesa fuori dal pozzo in cui sono caduta. Mi aggrappo a questo nuovo appiglio trovato per caso, mentre la mia vita sta scivolando via come un plaid mal rimboccato. Ti vorrei dire quello che mi ha detto mia mamma prima, chinandosi vicino al mio orecchio sinistro e illuminando l'insopportabile torpore che mi appanna la mente. E vorrei mostrarti il mio nuovo codice fiscale, appena recepito, quei dati che mi battezzano per la seconda volta, dicono chi sono io, adesso. E raccontarti lo sgomento, la paura, ma anche la speranza, insomma tutto il mare che si è mosso di colpo, appena ho saputo, appena ho capito. Te lo dico, con la mente, con la forza (intatta, lo sento) dei miei occhi, così come il dottore l'ha comunicato a mia madre: frattura di L2-L3 midollare retrostante di tipo contusivo con edema del midollo ed ematoma nel canale spinale, trauma cranico, foratura del polmone sinistro, tre costole fratturate, lussazione del gomito sinistro, 45 giorni di coma, gli ultimi 15 in coma farmacologico, risveglio in condizione di paralisi agli arti inferiori. Sono stata trasferita qui, all'Unità Spinale, per cominciare la riabilitazione che, dicono, forse può farmi riprendere l'uso delle gambe. Non ne sapevo nulla. Non sapevo nulla di tutto questo. Credevo di aver passato quel "rosso" solo ieri. Mamma dice che dovrò fare le onde d'urto, che dovranno posizionarmi un tutore per estendere il braccio, dice che le onde d'urto fanno un po' (tanto) male. Poi farò artrolisi del gomito e tanta fisioterapia, oppure interventi chirurgici. A sentire mamma la paralisi è reversibile. La sua, forse, quella che improvvisamente le ha fermato il tempo. Adele continua a sorridermi. Ha le mani che tremano, ma soltanto se le muove. Le muove spesso, si tira via i capelli neri dal viso e se li mette dietro all'orecchio sinistro. Chissà come si è fatta quella cicatrice sul viso. Che poi non è solo una cicatrice perché ha il viso smezzato, come le donne di Picasso, le pazzie di Orlan, metà volto accartocciato: lamiere? Quando muove gli occhi la palpebra destra non obbedisce sempre e subito al comando muscolare e a volte ritarda, si perde. Senza mai intrappolare l'espressione dello sguardo, che rimane libero. Allora il mio nome è Dora, ho 36 anni, segno dei pesci (ahimè) non ho un marito, non ho un figlio, la mia famiglia si è sbriciolata come stucco umido. Ho un cuore muto, rosso turgido e lucido che la formalina, sotto cui lo tengo, fa brillare ancora di più. Guardami, guardami il cuore dalla tua sedia, ma non ti avvicinare: io il mio cuore, ho sempre paura che s'infetti o si consumi, non so come si usa. E poi, come tutti i tessuti ustionati è così sensibile al contatto da non resistere esposto all'aria per troppo tempo, né può essere toccato da mani senza talco. Per questo faccio l'amore solo con gli amici: non chiedono niente, non afferrano, passano lievi senza lasciare tracce e tornano sempre, come le onde del mare o il ritmo regolare del respiro. Ma non con Riccardo, Riccardo no, lui è gay. Viviamo insieme, con Kuka, una gatta. È buffo, se nella mia mente parlo ad Adele, mi sveglio un po', mi sembra di ritrovare quell'attrezzatura vigorosa, quel guizzo continuo con cui incassavo manciate di consenso. Ma ora ho di nuovo sonno. (Dal libro «Con te accanto»)

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