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La morte non basta per un buon film. Nemmeno a Wenders

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E questo nonostante la firma di Wim Wenders tornato in Europa - e proprio nel cinema tedesco - dopo anni di felici successi nel cinema americano. La partenza è a Düsseldorf, dove Wenders è nato. Ci vive un fotografo di moda, Finn, festeggiato e ammirato. Però, a parte il fatto che spesso si addormenta e sogna, soffre di una crisi esistenziale che a un certo momento lo induce a trasferirsi a Palermo, solo, con la sua macchina fotografica, perseguitato da un sogno ricorrente in cui gli compare un incappucciato munito di arco e frecce. A Palermo Finn, fotografando la gente e i palazzi, incontra in un museo una ragazza intenta a restaurare un affresco di anonimo quattrocentesco intitolato «Il Trionfo della Morte». I suoi sogni interferiscono con quello ed ecco così l'incappucciato prima prenderlo di mira con delle frecce che però non gli lasciano segni poi presentarsi di fronte a lui, un vecchio con i capelli bianchi, personificazione con ogni evidenza della Morte (in tedesco «der Tod» è di genere maschile). Discettano a lungo, con argomentazioni fra il confuso e l'oscuro, alla fine il fotografo otterrà una dilazione e rimarrà in vita... Un po', appunto, i sogni, un po' dei momenti reali in cui Wenders si è compiaciuto di far apparire personaggi noti nel campo della musica, Lou Reed, Patti Smith, De André con il suo brano «Quello che non ho», affiancandoli a figure già proposte nei suoi film, da un ormai canuto Dennis Hopper nei panni della Morte (lo si ricorderà ne «L'amico americano»), a Milla Jovovich già vista in «The Million Dollar Hotel». Dalla musica ci arriva anche il protagonista che è Campino, noto cantante del gruppo rock tedesco «Die Totet Hosen» (da tradursi, forse non a caso, «i pantaloni morti...»). La sola estranea a questi ambienti è la nostra Giovanna Mezzogiorno, la restauratrice. La sua grazia e la sua vitalità però non bastano e il film non si riscatta. In attesa di un altro degno di Wenders.

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