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I nostri contemporanei agguantano il mercato

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E Maurizio Cattelan, star mondiale di stanza a New York, è vero, ma pur sempre nato nello Stivale, gratificato dal premio alla carriera. La Quadriennale, insomma, come gran volano dei nostri nomi. Sicché il suo compito istituzionale - effettuare una ricognizione sull'ultimissima arte tricolore - quasi sancisce il momento d'oro vissuto sul mercato dagli italiani. Basta un dato: la «Danseuse» di Severini, anno 1915, acquistata recentemente all'asta di Sotheby's per la cifra-record di 19 milioni di euro. E le quotazioni sempre crescenti di Fontana, Burri, Manzoni. Certo, la distanza di mercato tra un De Chirico e un Braque è eccessiva (e pende ingiustamente a favore del francese). Certo, si compra un Rauschenberg a cifre astronomiche. Ed è anche vero che a questo interesse del mercato non corrisponde quello espositivo (a «Documenta» di Kassel, la maggiore rassegna mondiale, gli italiani sono rari). Eppur qualcosa si muove in nostro favore. Anche se, proprio ieri, Todolì, nel dibattito animato dal presidente della Quadriennale Gino Agnese, suggeriva di abbattere le barriere nazionali. Insomma, italiani, francesi o turchi «sono solo e soltanto artisti». (Al che Agnese ribatteva che sì, «mai come ora, con internet e i cellulari, il mondo è stato tanto collegato. E però, nonostante i portati della società connessa, esistono specificità nazionali»). Insomma, messo tutto sul piatto, l'arte contemporanea italiana sta meglio. Potranno forse giovarsene anche i giovani, lasciati ancora un po' troppo in disparte. Intanto godiamoci d'essere protagonisti con i futuristi: a ottobre al Beaubourg di Parigi, a febbraio alle Scuderie del Quirinale, poi alla Tate Modern di Londra.

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