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Lo Strega premia un giovanissimo: vince Paolo Giordano

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Annata delle antinomie al Premio Strega vestito di nuovo, anno primo di Tullio De Mauro - il linguista, il cattedratico - alla direzione della Fondazione Bellonci dopo il ventennio Rimoaldi, leggi l'imperiosa e manovriera Anna, a sua volta scrittrice (edita da Mondadori), amica stretta di Maria Bellonci e sua erede nella casa-biblioteca di via Fratelli Ruspoli, cuore dei Parioli, dove il premio letterario nacque nel 1947. Dunque, il romanziere di lungo corso Ermanno Rea (classe 1927, profugo da Napoli a Roma, una trilogia d'odio-amore sulla città del Vesuvio e ora questo «Napoli Ferrovia» edito da Garzanti) in estenuante duello con l'esordiente Paolo Giordano (ventisei anni, torinese, borsa di dottorato in fisica, lavoratore accanito al punto da rispondere al telefono solo durante la pausa pranzo, al battesimo letterario con «La solitudine dei numeri primi»). Come dire la notte e il giorno, la luna e le stelle, le stesse che hanno illuminato ieri sera il Ninfeo di Villa Giulia, mentre Nicolò Ammaniti presiedeva lo spoglio delle 400 schede degli Amici della Domenica, la giuria dello Strega. Trasognato, distaccato, saggio, lo scrittore partenopeo, quanto rampante il dottorino piemontese. Mondadori ha puntato tutto su di lui. Non solo lo Strega (e già il 13 giugno Giordano aveva vinto il premio assegnato dagli studenti delle scuole romane), ma pure il Campiello Giovani. Il fisico-scrittore, forte delle 170 mila copie vendute, s'è lasciato volentieri trasformare da caso letterario in divo mediatico. Un assopigliatutto, che ha azzeccato la partita di diventare il più giovane vincitore dello «Strega», strappando il record ad Alberto Bevilacqua, che vinse nel 1968, a 34 anni, con «L'occhio del gatto». Piace, la sua storia, perché squarcia i giovani di oggi. I protagonisti, Alice e Mattia, seguiti dall'infanzia all'età adulta, camminano parallelamente senza mai sfiorarsi, come i «numeri primi» del titolo. «Ho raccontato la passione per le materie scientifiche di molti ragazzi, che nasconde la volontà di mettere ordine nelle cose - spiega Giordano - Del resto i giovanissimi li conosco bene. Per dieci anni ho dato ripetizioni di latino, di fisica, di matematica. Sono diventato amico dei miei allievi, ho chiacchierato con loro, so che gli passa per la testa. Bisognerebbe tornare a innamorarsi dei ragazzi, invece di viverli solo come un problema». Rea ha giocato invece sul doppio piano del passato e dell'oggi. Un romanzo coraggioso e rigoroso il suo, trasparente nello stile, perché l'autore ama «le storie dettagliate ed esatte». Si mette in gioco in prima persona come io narrante. È lui la «vecchia cariatide comununista» che decide di tornare a Napoli e che stringe amicizia con Caracas, un tipo che è tutto il suo opposto, ex naziskin e perfino in procinto di convertirsi all'Islam. Caracas è il Caronte che salva i derelitti e traghetta Rea nell'inferno di Napoli, nei vicoli del malaffare, degli eroinomani, dei cumuli di spazzatura. E  la complicità tra i due si consolida sul piano dei valori, morali e identitari. Sicché da questa storia amara si ricava una lucina di speranza, quella secondo cui il dialogo, se si è onesti, è sempre possibile. A dare fastidio a Rea e Giordano - nella corsa all'alloro che ha visto le case editrici schierare come sempre le truppe cammellate dei critici, degli intellettuali, degli editors, degli amici degli amici - Cristina Comencini, capace di alternare la sedia del regista a quella davanti al computer di scrittura. Il suo «L'illusione del bene» (Feltrinelli) si interroga ancora sul fantasma del comunismo che non smette di aggirarsi nelle menti di chi ci ha creduto. Così il protagonista, un malinconico e deluso impegnato di sinistra, offre lo spunto all'autrice di meditare su illusioni e storici fallimenti. «Com'erano le opere dello Strega 2008? - chiosava Walter Pedullà nella notte del Ninfeo - Se cercassimo il capolavoro usciremmo con le osse rotte...Però libri interessanti ci sono stati». Contentiamoci.

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