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Atto primo, scena prima per il cinquantunesimo «Festival dei ...

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E di lui si propone un'opera rara, che aveva in Italia avuto momenti di episodiche resipiscenze musicologiche sino agli Anni Settanta, prima di un lungo inspiegabile oblio. Si tratta della rutilante opera di ambientazione indiana Padmavati, forse la sua più nota dopo il balletto Le Festin de l'araignée. Iniziata nel 1913 e portata sulle scene solo nel 1923, dunque databile all'indomani del primo conflitto mondiale, l'opera si riconnette al nutrito e fortunato filone di opere liriche di ambientazione esotica, come Butterfly o Turandot, Le Dieu bleu o Shéhérazade, per non dire di Sakuntala di Alfano resuscitata all'Opera di Roma due anni fa. Quasi un alibi per esorcizzare il colonialismo europeo ancora al suo massimo vigore. Tuttavia l'opera vista a Spoleto, imperniata sull'amore della bellissima Padmavati per il principe Ratan-Sen suo sposo e culminante nel rogo della fanciulla (come Didone) e nell'uccisione del marito dinanzi alle truppe del sultano Alauddin invaghito follemente della ragazza, è apparsa ricca di colori e di riferimenti iconografici, affidata come era al regista indiano Sanjay Leela Bhansali, protagonista di Bollywood. Tutto è stato usato senza risparmio di idee e di mezzi per raccontare le magie e gli incanti della misteriosa India, dalle sacerdotesse ai Brahmini, dalle danze con le spade o con i nastri rossi ai guerrieri, senza esimersi neppure dall'ingresso in scena di un docile elefante, di una tigre e di un cavallo. Un allestimento, quello già presentato in marzo al Théâtre du Chatelet di Parigi, davvero sfolgorante e avvincente sotto il profilo spettacolare. A dirigere la musica di Roussel - una partitura ricca e a tratti assordante con dissonanze «roventi» (l'aggettivo è del contemporaneo Paul Dukas), comunque di difficile catalogazione, ma di sicuro anti-impressionistica e spesso percussiva, sulla falsariga di uno Strawinsky o di un Bartok, improntata ad un lungo recitativo lirico - c'era, sul podio della Orchestra Nazionale di Praga, Emmanuel Villaume, capace di dosare colori e umori drammatici di una grandiosa opera-balletto che da atmosfera di fiaba si volge presto in tragico dramma. Con la finale sublimazione della coppia regale in un Nirvana celestiale e la disperazione del sultano invasore a dare vita immortale ad un episodio realmente accaduto nel XIV secolo in India. Trionfali alla fine le accoglienze e molti applausi soprattutto per la protagonista Nicole Piccolomini, ma soprattutto per un allestimento da Mille e una notte, desideroso di appagare l'occhio non meno che l'orecchio.

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