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Pippo Baudo, pochi giorni fa la tv pubblica francese ha ...

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Quanto alla Rai, sarebbe un dramma se dovesse contare solo sugli introiti del canone: non si riuscirebbero più a fare trasmissioni decorose. Ma sono convinto che la tv generalista reggerà meglio delle reti private, perché offre un'immagine più affidabile e tradizionale. Anche gli inserzionisti, quasi automaticamente cercano visibilità nella programmazione di Viale Mazzini. E poi non credo che ci sia stato un calo di ascolti, come dicono. È semplicemente mutato il modo di vedere la tv. I giovani la selezionano su internet, grazie a YouTube. E d'estate? Negli alberghi si torna a una visione collettiva, un po' come accadeva negli anni '60: ci si riunisce in tanti a vedere un solo televisore. Questo complica il calcolo dell'Auditel: si dovrebbe rispolverare il vecchio caro indice di gradimento». Perché gli ascolti del festival di Sanremo 2008 sono stati inferiori a quelli dell'anno precedente? «Lo spettacolo era di alta qualità, e Chiambretti, che aveva il timore di risultare solo un mio partner, ha giocato brillantemente le sue carte, in assoluta parità con me che ero il conduttore "ufficiale". Qualcuno dice che le battute di Pierino erano rivolte a un pubblico più sofisticato di quello che abitualmente guarda quel tipo di trasmissioni su Raiuno. Comunque sono soddisfatto e ho anche risparmiato sul budget. Gli ospiti hollywoodiani sono esosi. Invece a Yoel Naim, la cantante israeliana che poi ha scalato le classifiche abbiamo dato solo tremila euro di rimborso». Perché non è riuscito a portare Fiorello sul palco dell'Ariston? «L'ho rincorso a lungo ed è stato in forse fino all'ultimo. Fiorello è fatto così, ma gli si perdona tutto perché è davvero il migliore che c'è sulla piazza. Alla fine, voleva fare il Dopofestival, ma era troppo rischioso, magari il pubblico avrebbe trascurato le canzoni per vedere le sue gag dopo mezzanotte. E invece ho puntato su Elio e Le Storie Tese. Tornando a Fiore, anche lui avrebbe dei problemi a fare l'attore. Io ho fatto 5 film, ma ho sempre interpretato me stesso. Ricordo una locandina in cui erano citati i nomi degli attori. Per me c'era scritto invece Pippo Baudo nel ruolo di Pippo Baudo». Nel 2007 restò celebre la sua invettiva in diretta da "Domenica in" contro i politici, alla fine della kermesse sanremese. «E non avevo ragione? C'erano cose più serie di cui avrebbero dovuto occuparsi, che non i costi e le rese del festival». Usò toni che poi avrebbe perfezionato Grillo. «Dico la verità: in questi ultimi tempi mi sono preoccupato per lui. Ti esaltano quando servi come portabandiera dell'antipolitica, poi ti lasciano solo. È stato intelligente a svincolarsi in tempo. So che tornerà al suo show, meglio così». Lei, Baudo, guarderà dalla tv il festival 2009. «Mi riposerò per un anno poi nel 2010 vedremo. In fondo ho fatto già 13 festival (quelli più classici) e Mike Bongiorno 11, tra cui alcuni del periodo di transizione. Comunque andrà rinnovata la convenzione con il comune di Sanremo, ma prima c'è il nuovo Cda Rai ancora da definire. E il Festival non può prescindere dalla location di Sanremo. Nel passato sono stati tentati altri esperimenti di portare le canzoni in altre città, a Roma o Venezia per esempio, ed è stato un fallimento. Legare la manifestazione a Sanremo, sottraendone la proprietà alla Rai che lo aveva inventato fu una grande furbata del sindaco democristiano Pippione, che depositò il marchio e il comune ne divenne proprietario». Quali sono stati i momenti più significativi dei tredici festival di Sanremo che ha condotto? «Ricordo quando i metalmeccanici minacciarono di bloccare il festival. In diretta parlai dei loro problemi, poi mi presentai ai sindacalisti e, per convincerli a non fare azioni di ostruzione, dissi loro che avevo parlato della vertenza che avevano in atto. Non ci credettero. Allora, li invitai a telefonare a casa. Lo fecero e mi ringraziarono, il loro capo volle anche un mio autografo sulla tessera del Pci, proprio sulla foto di Togliatti. L'altro ricordo è quello di quel tale che si arrampicò minacciando di gettarsi: la sua protesta nasceva dal fatto di essere stato licenziato dalla Coop, proprio lo sponsor del festival. Tutti pensarono che fosse una sceneggiatura programmata, invece era tutto vero. Il mattino dopo, alle 7, l'avvocato Agnelli mi telefonò per farmi i complimenti, io ancora stavo dormendo, ma l'avvocato era un mattiniero e svegliava le persone persino alle 5». Ogni tanto rispunta l'ipotesi di lei presidente della Rai. «No, morirei sulla poltrona, io sono un artista. E anche Arbore, che è stato proposto alla presidenza dal critico televisivo Aldo Grasso, si spegnerebbe se diventasse presidente della Rai: non potrebbe nemmemo più indossare i suoi gilet, con tanto di spillette e cappello. Però, mi è piaciuto fare la direzione artistica all'epoca della Moratti: abbiamo lavorato molto bene insieme. Mi piacerebbe anche fare dei commenti politici in un Tg. La politica mi affascina tantissimo». Al punto da poter finalmente ipotizzare una sua carriera in Parlamento? «No, è troppo tardi, sono troppo grande per impegnarmi. Mi hanno fatto delle offerte ma ho rinunciato. Anche se oggi quell'esperimento fatto con D'Antoni e la sua Democrazia Europea potrebbe avere un senso. La Dc è stata fondamentale per questo Paese. Ricordo molto bene le elezioni del '48 e il rischio che l'Italia avrebbe potuto correre. Anche Togliatti ebbe grandi meriti nel pacificare il Paese nei momenti critici». Qual è stato il migliore dirigente Rai? «Bernabei. Lo incontrai la prima volta, quando facevo "Settevoci" che andava in onda nel pomeriggio. Allora le trasmissioni iniziavano alle 16. Un giorno Bernabei chiese di vedermi. Ero molto preoccupato. Quando lo incontrai, mi disse che voleva inserire "Settevoci" a mezzogiorno. E io intimorito replicai: "Se questo è un modo per licenziarmi, la prego di dirmelo più chiaramente, perché si sa che a mezzogiorno non c'è programmazione". Invece, aveva deciso di inventare il "traino" per il Tg delle 13,30. Accettai e alla fine mi andò bene, ottenni anche la replica la sera su Raidue. Ecco, ora ci vorrebbe un presidente come lui, un uomo che ami davvero la televisione e riesca ad articolarla nei dettagli, tra innovazione e tradizione». Cosa ricorda degli esordi della sua carriera? «La mia fortuna fu di saper ottimizzare la mia predilezione per la musica. Davanti avevo mostri sacri come Corrado e Tortora, ma loro non si occupavano di musica e io mi ritagliai il mio spazio. Oggi la tv è in difficoltà per il varietà. Mancano i comici e anche gli autori. Non c'è più uno come Marcello Marchesi. Un genio assoluto, che non aveva problemi neppure quando doveva buttarla in farsa. C'era un dirigente "cerbero" come Giovanni Salvi, che ci controllava in bassa frequenza durante le prove. Marchesi era innamorato, e non scriveva. Sventolava fogli bianchi davanti alle telecamere e urlava: "Ecco i copioni"». Non ci sono più i comici di una volta. «Una volta dovevamo preparare due trasmissioni in contemporanea, non avemmo alcun problema a dividerci i comici. Io portai il giovane Troisi con la Smorfia. Con Enzo Trapani, sempre a "No Stop", offrimmo la ribalta allo sconosciuto Verdone. Ma ce ne erano tanti e avevamo solo l'imbarazzo della scelta. Ora invece c'è tanta quantità e poca qualità e lo testimoniano programmi come "Zelig". Mi piace molto Enrico Brignano. È bravissimo». Tra i tanti personaggi che ha conosciuto chi ricorda in modo particolare? «Il più grande è stato Alberto Sordi, era imprevedibile. Improvvisava di continuo, anche quando la scena era già tutta preparata. Totò venne in tv al Teatro Greco di Taormina, era ormai alla fine della sua carriera, quasi non vedeva più. Mi disse: "Quanto sei lungo!". Poi recitò "A livella" e fu l'ultima volta. Un grande è stato anche Walter Chiari, un uomo coltissimo, con una fortissima personalità, tanto che non poteva fare l'attore. Visconti fece un film proprio per lui, e fu un fallimento. Ricordo quando fu arrestato e poi uscì, fece una sua compagnia, alla prima al Brancaccio si aspettava che colleghi e amici riempissero il teatro. Invece erano occupate solo le prime quattro file. Fu grande l'amarezza quando vide che eravamo così pochi. Vedendomi fece un lungo monologo ironico rivolto a me». E di Paolo Bonolis cosa pensa? «È un bravo conduttore e mi dispiace che a volte abbiamo avuto qualche incomprensione per colpa di frasi scritte sui giornali in modo sbagliato. Però, Bonolis è una spalla, il comico vero è Luca Laurenti. La coppia comica deve essere ben assortita, deve funzionare senza invasioni di campo. Fu questa una delle ragioni che mise fine alla collaborazione tra Tognazzi e Vianello: Raimondo doveva essere la spalla, ma talvolta prendeva più applausi e questo a Ugo non piaceva. Così, Vianello doveva limitarsi e lavorare per sottrazione. Alla fine si divisero». Mina tornerà mai sulla scena? «No, non credo che tornerà in pubblico. Ho letto che ora vuole cantare con Ornella Vanoni. Mi sembra un' idea magnifica. Ma non la rivedremo sulla scena. Io ho fatto di tutto per riportarla in tv, non ci sono riuscito. E non penso che ci riuscirà nessun altro». E di Domenico Modugno cosa ricorda? «Era un grande. Aveva una grinta poderosa, un artista vero. La malattia lo aveva colpito proprio nella sua fisicità che era una sua prerogativa, quella che lo caratterizzava di più. Le canzoni di Modugno hanno segnato e cambiato la melodia italiana. Quando era in carrozzella, si esibì con il figlio Massimo, che certo non aveva la stessa forza canora e carismatica del padre. E allora, Mimmo incitava il figlio a metterci più grinta, mentre cantavano insieme "Delfini"». Anche Alighiero Noschese ha caratterizzato un momento importante della vita televisiva, e non solo, del nostro Paese. «Sì, ma si spersonalizzò completamente. Era così attento a imitare le voci degli altri che non aveva più una voce sua. Persino quando doveva parlare in modo quotidiano, e fuori dal lavoro, doveva immaginare un personaggio per esprimersi. Era meticoloso nella preparazione delle imitazioni. Andava in scena alle 22, ma iniziava a prepararsi già dalle 9 del mattino per truccarsi e essere il più possibile simile al personaggio che imitava. Tutti volevano farsi imitare da lui, perché solo in quel modo allora diventavi davvero popolare. Una volta passò una giornata in studio con Giovanni Leone, allora presidente della Camera, che gli ripeteva le sue frasi con l'accento napoletano per farsi imitare al meglio, gli correggeva persino le sfumature. Oggi sarebbe impensabile una scena del genere. Noschese amava sentirsi protetto e questo a volte gli ha procurato qualche guaio. All'ultimo era davvero molto depresso, ingoiava 8 Optalidon per notte». Ha ancora qualche sogno nel cassetto? «Ho un grande interesse per l'informazione. E mi piacerebbe molto fare un Tg, spiegare alla gente le notizie per riflettere sui nostri tempi. Un po' come fa Emilio Fede, che si è inventato un bel Tg e ogni volta la sua è una vera e propria esibizione teatrale». Quali sono i suoi prossimi progetti televisivi? «Sto preparando per l'autunno cinque puntate di "Serate d'onore", dove ogni volta porto sul palco un personaggio famoso rendendolo più confidenziale agli occhi del pubblico. È una cosa che già ho fatto nel passato e ha avuto molto successo. Una volta, invitai in trasmissione Will Smith e fui letteralmente assediato dai vertici di Medusa: Giampaolo Letta mi disse che si doveva parlare solo del suo film in uscita, aveva interpretato "La ricerca della felicità" di Gabriele Muccino. Allora, dissi al maestro Caruso: "A un certo punto intona uno dei suoi pezzi preferiti, se Smith si lascia andare prosegui, altrimenti desisti". Appena intonò il pezzo, Smith si mise a cantare e non smise per 25 minuti, fu un successone».

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