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Monica,

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È la verità. In Italia, non ci piacciamo. Tanto è vero che, al momento, le nostre grandi star internazionali in attività, sia pure di generazioni diverse, sono solo due. La Loren e la Bellucci. Bene. La prima, l'abbiamo messa in galera per un mese, nell'82, per un sospeso di tasse non pagate (!!!) reato che nel 1982 era percepito come tale quanto il passare al semaforo con l'arancione. Dopodichè, è chiaro, Donna Sophia, due Oscar all'attivo, se n'è andata a vivere tra la Svizzera e la California. E alla prima Festa del Cinema di Roma si erano pure scordata di invitarla, riparando alla meglio con l'edizione numero due. Monica, invece, l'abbiamo costretta ad andarsene nel 1991: è una top model all'apice della carriera, ma si mette in testa di fare l'attrice con la fermissima volontà di recitare. Tutti l'attendono al varco e il suo primo film «La riffa» (1991, di Francesco Laudadio) in cui, rimasta vedova, si offre per sopravvivere come premio carnale al vincitore dell'asta, viene stroncato con quella perfidia che da noi riservata alle bellissime che osano tentare qualcosa in più. È un filmettino, d'accordo, ma gli insulti dei critici le arrivano addosso come sassi. Quasi contemporaneamente, i critici televisivi, che sono meno snob (la tv è un fenomeno di massa, il cinema d'élite) la apprezzano nella prima fiction di cui è protagonista, «Vita coi figli», su Canale 5. Bella, mora, formosa, proprio mentre sta imparando a farsi conoscere, ecco che alla Bellucci capita una botta di sfortuna come raramente succede nella vita di un'artista. Io ho intervistato Monica, per la prima volta, proprio in quel periodo. Ci preparò il caffè, alla mia troupe e a me, ma parlava con una punta di malinconia, senza nascondere il timore che sarebbe successo quello che oggi ha ribadito nelle interviste su Cannes. E cioè che presto, per lavorare, avrebbe dovuto emigrare. Visto che, già da un annetto, con «Americano Rosso» di Alessandro D'Alatri, era uscita alla grande una certa Sabrina Ferilli, anche lei mora, splendida e formosa, che di lì a poco avrebbe concentrato su di sé tutti i ruoli femminili del nostro cinema brillante. Rimanevano i ruoli drammatici, ma ecco che nel 1993, accompagnato dallo sgomento per la morte del suo autore ed interprete Massimo Troisi, sale alla ribalta «Il Postino» e, con esso, la protagonista femminile, un'altra mora, bellissima e formosa. Maria Grazia Cucinotta. A Monica, inevitabilmente, restano le briciole. Si ironizza sulla sua partecipazione come una delle tre sexy-mogli di Dracula nell'omonimo film di Ford Coppola (1992). A credere in lei sono i Vanzina, nel 1994, affidandole la parte di "Deborah-con-l'-acca" nei "Mitici - colpo gobbo a Milano", commedia riuscita, in cui Monica parla con quella esilarante cadenza umbra, ma il film va male e Monica se ne va a Parigi. Gira un buon film, «Dobermann» di Jan Kounen: sembra «Sin City» ma 10 anni prima nessuno lo capisce. Oggi è un cult in dvd. Dopo che si era sparsa la voce, le va di traverso anche la candidatura al ruolo della Bond-girl in «007 il domani non muore mai». Ironia della sorte, nel film successivo, è proprio la Cucinotta ad entrare nel cast di 007, finchè la strada di Monica si incrocia con uno di quei registi che lasciano il segno. Giuseppe Tornatore gira «Malèna» (2000) con Monica presente nel 90% delle inquadrature, ma con battute rare, spezzate, incisive. Un capolavoro che va bene in tutto il mondo, coprodotto dai fratelli Weinstein della potentissima Miramax, un successo che spalanca le porte al desiderio della Bellucci: fare l'attrice. Ma per molti la Bellucci è ancora tutto fumo e niente arrosto. Troppo bella per essere brava. Al massimo, va bene per gli spot di Dolce e Gabbana. Finchè, secondo incontro decisivo, Gabriele Muccino non le offre in «Ricordati di me» (2003) l'altro ruolo più importante della sua carriera. Dovrà recitare senza nascondere l'età, all'epoca intorno alla quarantina, le rughe, qualche chilo di troppo. Una donna che sogna l'amore e che si sacrifica per esso. Accanto a lei, un attore pazzesco come Fabrizio Bentivoglio. La recitazione di Monica è così tenera, dolce e spontanea, nell'ingenuità di una donna che rincontra un vecchio amore di scuola, che noi giornalisti del SNGCI le diamo il suo primo premio, il Nastro d'Argento come miglior attrice non protagonista, seguito l'anno dopo dal Globo d'oro della Stampa Estera per «Irréversible», un film-shock in cui Monica viene stuprata e violentata fino a rendersi irriconoscibile. Distruggere la propria bellezza, per far emergere quello che aveva dentro. Era l'unico modo e c'è riuscita. Seguono apparizioni in film hollywoodiani, intensa Maddalena in «Passion» di Mel Gibson, copertine, ancora film francesi, belli o brutti, fino a «Sanguepazzo», storia di Luisa Ferida e Osvaldo Valenti, divi del cinema fascista che, tra imprudenza e trasgressione, scelsero di seguire il regime fino alla sua - e loro - tragica fine. Oggi Monica è una star. Può fregarsene di quello che dicono di lei. È il simbolo stesso dell'Italia, un'Italia rispettabile e bella come lo era quando in giro per il mondo ci andava, come va ancora, Sophia Loren. La morale? Se in Italia non ti fanno fare quello che vuoi fare, prova a farlo all'estero. E poi, se ti va, torna. Monica lo ha fatto. È andata a Cannes due volte come madrina, una come giurata, ma non c'è nessuna che faccia impazzire i fotografi come lei sul tappeto rosso. Poteva starsene a casa, e invece ci ritorna con un altro film. "Il primo film italiano - ha detto - con cui vado a Cannes in tutta la mia carriera". L'ho detto. In Italia proprio non ci piacciamo.

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