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«Sordi era un genio dell'interpretazione»

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Usò il suo viso, in fondo dai lineamenti banali, come un francobollo sulla busta da spedire agli italiani: quando la busta veniva aperta, dentro c'era sempre una storia bellissima che Sordi raccontava. Era unico al mondo. Nemmeno Chaplin o Keaton reggevano al suo confronto. Fu grandiosa la sua interpretazione in "La vita difficile" di Dino Risi, un film che piaceva moltissimo a Billy Wilder e avrebbe voluto farlo di sicuro. Sordi era anche di un'intelligenza acutissima. Non prendeva mai parte ad un film senza il suo fidato sceneggiatore Sonego». L'Albertone nazionale sperimentava e costruiva una galleria di personaggi che ha poi portato infinite volte e con grande successo al cinema, ritraendo un uomo banalmente medio la cui apparente cattiveria nascondeva una malcelata ingenuità, un cialtrone sostanzialmente vigliacco, uno sbruffone succube delle circostanze, un individuo in bilico fra la tragedia e la farsa. «Fellini si accorse subito del suo straordinario talento e lo volle nello "Sceicco Bianco" e poi nei "Vitelloni". Quelli erano anni in cui lavoravano personaggi unici, come Fellini o Monicelli. Eppure, persino Sordi agli inizi della sua carriera non venne capito. Anzi. Fu addirittura cacciato dall'Accademia dei Filodrammatici, a causa di quel suo spiccato accento romano che invece divenne la sua grande fortuna, grazie alla capacità espressiva di Sordi. Solo molti anni più tardi, nel 1999, l'Accademia gli conferì un diploma ad honorem in recitazione». E quando Sordi ricevette quel Diploma Honoris Causa disse con la sua indimenticabile mimica ricca d'ironia e sorrisi: «Oggi prendo il diploma di attore ma questo vuol forse dire che per sessanta anni sono stato un abusivo?». Squitieri ha ieri rievocato quel periodo d'oro per il cinema italiano, che non aveva alcun bisogno di lustrini, divismi, nè di tanto denaro per diventare celebre e apprezzato in tutto il mondo. «Perché - ha aggiunto il regista - in quegli anni esisteva un'anima artistica che rendeva grandi anche le cose solo apparentemente più piccole. È questo che dovrebbe recuperare la cultura italiana».

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