Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

La propaganda serve al controllo interno ma è indirizzata agli osservatori mondiali

default_image

  • a
  • a
  • a

È quell'attimo che passa fra l'assalto al palazzo e il muto clic dei microfoni che trasformano radio e tv in altoparlanti del regime. È un rituale che in tutti i grandi paesi condannati a rinunciare alla democrazia non può mancare. È l'investitura. È la cerimonia con la quale il re si fa papa da solo. In quel momento dice al Paese che tutto è sotto controllo e che non c'è da temere. Che presto verrà il meglio, perché la Nazione ha bisogno di cambiare e non c'è tempo di aspettare. Bisognava intervenire e qualcuno s'è sacrificato per la salvezza dei suoi "sudditi". In quanto atto circoscritto, può essere ed è sceneggiato nei suoi dettagli apparentemente immobili, col generale di turno che compare in tv a rassicurare i suoi e a lanciare un segnale al mondo, come è accaduto anche nelle scorse ore, con il quarto colpo di stato in 20 anni nel paradiso esotico delle isole Figi. Il segnale internazionale, fino a qualche decennio fa, arrivava diluito. Non c'erano i satelliti a trasmettere in diretta, non c'era l'abitudine a tenere la tv accesa ventiquattr'ore, non c'erano i tg in onda senza soluzione di continuità. Oggi le immagini si vedono contemporaneamente da un capo all'altro della terra e i dittatori hanno imparato a tenerne conto. Perché, come sostiene Raffaele de Mucci, docente di Scienza Politica alla Luiss, questo è il lato oscuro della propaganda. Mentre la comunicazione interna al Paese ha l'unica finalità, che di solito raggiunge, di stabilire chi comanda, quella lanciata oltre i confini cattura l'attenzione soprattutto di chi ne prova sdegno. Non è uno sdegno che pesa, perché, fatti salvi i golpe che a ripetizione insanguinano l'Africa dall'inizio della decolonizzazione e quelli di tutti i Paesi a conduzione tribale, i colpi di Stato si preparano accuratamente con l'aiuto dei potenti, di solito nel secolo scorso Usa e Urss, che reggono il gioco fino a quando serve. E poi, come potrebbe prevedere chiunque non fosse accecato dalla sete del potere, arrivederci e grazie. Nel frattempo, come è accaduto nel Cile di Pinochet, la violenza e la sopraffazione non conoscono limiti. A microfoni rigorosamente spenti e telecamere che s'illuminano soltanto per le celebrazioni ufficiali. Una regola ferrea che la Corea del Nord, costretta a ospitare la stampa straniera dopo l'annunciato esperimento nucleare, mantiene intatta. Alle televisioni straniere è stato consentito solo di riprendere piazze semivuote e un ritaglio di mercato rionale, senza interviste, con il sottofondo di rumori confusi. Non va diversamente a Cuba né in Chiapas dove Marcos non ha finito di combattere e i suoi non smettono d'essere ammazzati. Ma non s'è vista nemmeno una cartolina. La verità è che il dittatore, in quanto tale, non ha tempo d'occuparsi di televisioni e di censure. Il bello di comandare senza doversi consultare con alcuno è che si fa presto. Partito l'ordine, qualcun altro lo dovrà eseguire, a meno di non voler finire morto. Resta dunque tutto il tempo per pensare a se stessi. Pinochet, fino all'ultima apparizione ufficiale non ha mai dimenticato i suoi gradi a casa, lo stesso faceva Jaruzelski. Castro non s'è mai tolta la sua divisa, tanto che quando s'è fatto ritrarre in ospedale sembrava che la tuta avesse sbagliato persona. Fra i dittatori, gli africani sono quelli che si fanno vedere meno, anche se, quando si tratta d'apparire, ogni dettaglio d'opulenza viene cucito addosso al costume tribale affinché nessuno possa credere che morte, miseria e aids stanno riducendo il continente a una collezione di giovani cadaveri. Gli eccidi di Burundi, Ruanda, ex Jugoslavia, il genocidio di Timor Est, i massacri di Haiti, i desaparecidos cileni e argentini sono l'altra faccia della propaganda che, dalle Filippine alle isole Comore, includendo i regimi fondamentalisti medio ed estremo orientali, dal Sudan all'Albania, senza dimenticare Romania, Nicaragua e Paraguay, non ha bisogno di monitor per farsi apprezzare. Forse la tv del terzo millennio potrebbe accollarsi il

Dai blog