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«Rai o Mediaset? Magari smetto»

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Va pronunciato in modo rapido e deciso, come una schioppettata. Braccio teso in avanti e dito puntato sul video: Berlusconi provò a emularlo, in campagna elettorale, andò come andò. Ora Supersimo se lo ripete a ogni passo, come un mantra orientale. Perché l'anno televisivo non è dei più semplici, e lei giura che adesso basta, che nel 2007 sarà ovunque, altrove o forse ancora qui. «E tornerò a bere chinotto, se sarà necessario». Il chinotto? «Ma sì. Ci sono dei periodi nella vita in cui puoi sorseggiare lo champagne, come questo. Però non dimentico da dove sono partita. Ero una ragazza di provincia, in cerca di fortuna: non avrei mai pensato di arrivare a questi livelli, senza venir meno ai valori che mi ha inculcato la mia famiglia. So distinguere il bene dal male. E dai compromessi». Quindi? «Premesso che ho un contratto con la Rai in scadenza a marzo, a breve non farò più questo lavoro. Il mondo della televisione è bellissimo, ma se lo guardi più da vicino ti accorgi che la sua doratura è artificiale. E io non vivo solo di questo. Non mi sveglio di soprassalto con l'incubo della telecamera che mi ignora. Sono felice quando posso fare cose normali, quando posso andare all'estero per rilassarmi, o al supermercato, o a scegliere nuovi mobili. Voglio stare con i miei figli prima che divengano grandi. Insomma, farò scelte differenti». Ma non vuole andare così lontano, via. Da qualche tempo si autocandida come dirigente, magari a Raidue. Pochi passi e va dietro le quinte. «Mi piacerebbe molto. Quello del direttore è un ruolo fantastico, ma non sarei all'altezza di Gori, Freccero, Giovalli, Marano. Dovrei imparare da loro. Però so capire istintivamente i personaggi adatti a un programma». Il cast dell'Isola non era un granché. «Non è vero. Abbiamo fatto scelte coraggiose, senza puntare troppo sulla notorietà dei partecipanti. Altri reality hanno speso più soldi e ottenuto cast più forti, ma hanno chiuso prima. I nostri avevano motivazioni solide rispetto a tante star, che magari non erano volute venire, perché avrebbero dovuto abbandonare le loro maschere, farsi vedere per quello che sono veramente. Ma è stata una stagione complicata per tutti». Qualcuno vi rimprovera di aver volutamente corso il rischio di un Ceccherini bestemmiatore. Il suo linguaggio era prevedibile. Non potevate non sapere. «Massimo è stato lì 35 giorni, ha fatto un grosso sforzo su se stesso. Ha chiesto scusa: cos'altro avrebbe dovuto fare, suicidarsi? Per il concetto della pietà cristiana dovremmo tutti accettare le sue scuse. Ma siamo capitati in un momento isterico della nostra società. Pare abbia combinato chissà cosa. Sfido chiunque a non avere un familiare o un amico che non abbia mai commesso questo tipo di errore». Ne patteggia l'assoluzione? Cento avemarie? «L'Isola è lo scenario dello psicodramma collettivo italiano, appassiona per questo. Nessuno può controllarsi fino in fondo: abbiamo tutti un lato oscuro. I naufraghi incarnano le nostre debolezze. Quando sono lì conoscono una sofferenza vera, la fame. Nessuno gli offre panini quando finisce la diretta». Non mi riconosco in Calvani o Di Lernia. «Calvani ha vinto perché è un Robin Hood, un Peter Pan, perché ha tirato fuori la grinta e un carattere pazzesco. Ha battuto Chiappucci, il campione senza macchia e senza paura. Ma è stata una bella finale: con la Occhiena, la donna che ha saputo ricostruirsi una vita. E Sara Tommasi: è una studentessa della Bocconi, mica solo una che fa i calendari». Una drammaturgia cinica e diseducativa, secondo molti osservatori. «Eravamo un bersaglio grosso, in tanti hanno sparato fregnacce per conquistarsi spazi facili sui giornali. La tv non deve essere educativa al trecento per cento. È lo specchio che riflette questo tipo di società. L'Isola è un gioco che colpisce alla pancia, questo sì». Lei ci andrebbe? «Come partecipante? Tutta la vita. È un'esperienza che arricchisce noi in studio, figurarsi sulla spiaggia, tra digiuni e bufere». La sua amica Mara

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