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Oggi si fa chiamare Yusuf Islam: «E canto per la pace» Si convertì dopo aver rischiato di annegare nel Pacifico

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Nuotava al largo di Malibu, sotto il sole della California, dove t'immagini sempre un lieto fine. Lui, Cat Stevens, continuò a sperarci mentre era ormai convinto di annegare. Allo stremo delle forze, rivolse il suo appello a chi doveva pur ascoltarlo, lassù. Disse: «Signore, tu salvami e io dedicherò la mia vita a te». E la scena, a quel punto, cambiò: non pareva più Hollywood, ma una pagine delle Scritture. L'oceano lo scaraventò sulla spiaggia. La rockstar finì con quell'onda, e nacque il fervente musulmano. Accadeva quasi trent'anni fa: dopo la pubblicazione di un ultimo disco "profano", "Back to Earth", il cantautore che aveva incantato il mondo con dischi come "Teaser and the Firecat", "Mona bone Jakon", "Catch bull at four" e canzoni epocali come "Father and son" o "Peace train", fece voto di ritirarsi nello studio del Corano che gli aveva procurato suo fratello. Cambiò il proprio nome in Yusuf Islam («Pochi sanno che Islam deriva dalla parola Pace»), e sparì dalle scene. O quasi: dopo aver devoluto gran parte dei suoi guadagni alle moschee e alle scuole coraniche di Londra, Yusuf ha inciso tra il'95 e il 2000 tre dischi ispirati da Allah, si è impegnato in cause umanitarie per i bimbi dell'Iraq e dei Balcani, ha avuto colloqui "politici" con il Principe Carlo, e ricevuto a Roma, dalle mani di Gorbaciov, il premio "Uomo per la pace" 2004. Ma il suo lodevole attivismo non gli evitò una serie di spiacevoli inconvenienti. All'indomani dell'11 settembre 2001, mentre era in volo sopra gli Usa, fu brutalmente sbarcato, interrogato e rispedito in Gran Bretagna: il suo nome era sulla lista nera, ma era solo un caso di omonimia. Nessuno, comunque, sembrava più sperare in un "ritorno" di Cat Stevens, qualunque cosa ci fosse scritta sulla sua carta d'identità, alla composizione pop. Invece, eccolo qui, quarant'anni dopo il suo debutto con "Matthew and son". In tutto questo tempo, il Nostro ha dovuto convincersi che nel suo percorso creativo non vi fosse nulla che contraddicesse la sua fede. «Nel 1980 dichiarai che avevo sospeso le mie attività artistiche per paura che potessero deviarmi dal mio vero cammino». Poi si è reso conto che «non c'è mai stato un ultimatum spirituale che mi costringesse a scegliere tra l'Islam e la musica». Il problema era che Yusuf-Cat aveva dato via le sue chitarre, finché suo figlio non gliene riportò una in casa. «E una mattina, dopo che tutti insieme avevamo pregato e loro erano tornati a dormire, quello strumento giaceva sul divano e io l'ho preso e ho scoperto di ricordare come suonarlo. Poi ho iniziato a canticchiare alcune note e parole che avevo scritto di recente e ho esclamato, "Hey! Credo d'avere ancora un lavoro da svolgere"». Accadeva due anni fa: il signor Islam si incontrò con il produttore Rick Nowells e con un vecchio sodale come il chitarrista Alun Davies. Si sedette al piano e suonò l'eterea "Green Fields, Golden Sands". Cominciò così il lavoro su questo cd, "An other cup", che sarà pubblicato venerdì prossimo. Il titolo prende spunto da una miniatura del quindicesimo secolo che l'artista vide a Istanbul, e che in qualche modo collegava al suo album "Tea for the Tillerman". «Una tazza di tè può simboleggiare molte cose. Oggi racconto la storia di un maestro spirituale che aveva ricevuto un ospite che gli chiedeva del senso della vita, e lo incalzava senza permettergli di rispondere. Il maestro continuava a versargli la bevanda anche dopo che il recipiente fu colmo. Il discepolo lo pregò di fermarsi. Ma l'altro: come posso insegnarti qualcosa se tu non vuoti la tua tazza?». In questo "An other cup" Yusuf sembra recitare entrambi i ruoli, come un discepolo della vita, che tenti di svuotare la propria anima, per prepararla alle lezioni della speranza. Verso un mondo interiore più alto. La voce è quella da brividi di sempre, il repertorio non sempre d'eccellenza. Ma cose splendide appaiono d'improvviso, come la lode all'Onnipotente di "Heaven", che funziona anche se la canti a u

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