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Il Falcone tedesco che scovò Eichmann

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Gli israeliani, stranamente scettici, intervennero solo quando fu sicura l'identità del nazista in fuga

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Questa rivelazione si deve a David Cesarani, docente di storia in Inghilterra, autore di una meticolosa biografia dell'ufficiale delle SS, uno dei principali responsabili della «soluzione finale della questione ebraica»: deportazione e sterminio di milioni di ebrei («Adolf Eichmann-Anatomia di un criminale», Mondadori, 535 pagine, 22 euro). Nel saggio si affronta anche il tema dell'oblio, pressoché completo sul caso Eichmann: fino agli anni Cinquanta se ne sapeva poco. Il sedicente signor Ricardo Klement (questo il nome assunto dal fuggiasco) si era ben camuffato nella nuova patria di adozione. Infine, il fascio di luce proiettato dall'autore sulla personalità di Eichmann. Non è il caso di adombrare turbe psichiche del soggetto, complessi nascosti e cose del genere. L'ufficiale delle SS era una persona normale. «La deportazione di esseri umani verso la morte - scrive David Cesarani - fu gestita con la stessa mentalità aziendale, positiva ed efficiente, di cui aveva dato prova nel pianificare le consegne di benzina alle stazioni di servizio, attività svolta con zelo da Eichmann in gioventù». Nazionalsocialista convinto (lo rimase fino all'ultimo), l'azzimato ufficiale considerava gli ebrei alla stregua di nemici. Non era questa la direttiva del Führer? È stato detto che se gli uomini di governo (non soltanto quelli europei) avessero letto il «Mein Kampf» di Hitler, avrebbero evitato in seguito molte sgradevoli sorprese. Accadde di più e di peggio, proprio in relazione al problema ebraico. Il 30 gennaio 1939 (sesto anniversario della presa del potere), convinto che fosse in atto una congiura contro il Terzo Reich, Hitler pronunciò una terribile minaccia: «Se la finanza ebraica internazionale riuscirà, ancora una volta, a spingere le nazioni in una guerra mondiale, la conseguenza sarà l'annientamento della razza ebraica in tutta Europa». Quanti badarono a quelle parole? Himmler, Heydrick, Kaltenbrunnero e, scendendo la scala gerarchica, Eichmann e i suoi parigrado, dovevano soltanto mettere in atto la minaccia del Führer, sterminare le comunità ebraiche nel vasto impero nazista. Prima del genocidio eretto a sistema, non mancarono progetti a mezza strada tra la beffa atroce e il paradosso. Il «progetto Madagascar», all'indomani della vittoria sulla Francia, prevedeva il trasferimento in massa degli ebrei nella colonia insulare francese nell'Oceano Indiano, con l'impiego di una flotta di 120 navi! Le spese per questo esodo dovevano essere sostenute dagli stessi ebrei, confinanti e guardati a vista dalle SS. Altro macabro progetto, una "transazione" che prevedeva il salvataggio di un milione di ebrei, in cambio di 10 mila autocarri con le specifiche tecniche per l'impiego sul fronte orientale. Eichmann vi ebbe le mani in pasta. E, per la verità, gli inglesi tremarono all'idea che centinaia di migliaia di ebrei potessero approdare in Palestina. la qual cosa sposta il discorso sulle responsabilità degli Alleati. Come mai, con la superiorità acquisita dall'aviazione anglo-americana, non furono selezionati gli obiettivi nei campi di sterminio, colpendo gli acquartieramenti delle SS, interrompendo le linee ferroviarie percorse dai «treni della morte», sconvolgendo insomma l'intero apparato logistico per la soluzione finale»? Eichmann, nel 1944, a Budapest - da lui ribattezzata «Judapest» - si occupò della liquidazione della numerosa comunità ebraica. «Quando, nel marzo 1944, la Germania occupò il paese, vi risiedevano 750 mila ebrei. Tra l'aprile e il luglio 1944, 437 mila vennero rinchiusi nei ghetti e deportati ad Auschwitz-Birkenau, dove tre quarti di loro furono immediatamente assassinati». Nel caos seguito alla fine del Terzo Reich, Eichmann riuscì a far perdere le proprie tracce: scarsi gli elementi di riscontro che lo riguardavano, carente q

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