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di EUGENIO ZACCHI IL ROMANZO di Giancarlo Marinelli, «Ti lascio il meglio di me», (Bompiani, 356 pagine, ...

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Sebastiano è un padre desunto dall'irreversibilità della tragedia di cui è stato vittima e carnefice. Giuliana, sua moglie, amica-nemica, complice-madre, implosa nella propria angoscia e nelle proprie "ragionevoli ragioni", conosce l'esplosione di un dichiarato amore che nutre i sentimenti per l'eternità. Minerva è la protagonista di pura poesia: il nostro autore la dipinge con una semplicità quasi olimpica e la mostra avvolta nella più struggente tenerezza di cui soltanto un bambino può essere felice interprete. Echi montaliani impreziosiscono il racconto dove il quotidiano si sbriciola in simboli d'affetto profondo e cromatico. Un esempio: «Tu che in cambio della felicità che ci donavi pretendevi solo che ti portassimo in camera un lecca lecca alla coca-cola, o uno stupido cappello con scritto I Love New York o Good Night Paris. Io ti ringrazio per tutti quei giorni; ti ho benedetto, e ti porterò sempre sul palmo della mia mano e del mio cuore per avermeli regalati». Benché non manchino ingenuità di linguaggio, del resto innocue tracce di mode corrive, le parole di questo libro restano incise nel pentagramma delle più convincenti emozioni e fanno vibrare di vita intensa. I personaggi che incorniciano gli eventi, appartengono alla nostra umanità forse più sincera talvolta nella sua veste onirica. Ma la verità del dolore più difficile da elaborare resta pur sempre, per Giancarlo Marinelli, il dramma incompiuto del nostro essere e "sentire": «... non riusciamo più ad amare qualcuno, perché se lo dovessimo amare come amiamo noi stessi, finiremmo per distruggerlo, per portarlo nel baratro insieme a noi». E ci salvano spesso frammenti di finzione poetica, che unici, ci stanano da un'intollerabile realtà e ci sollevano dall'informe compito di convivere con un'instabile capacità d'amare. E se volessimo scovare a tutti i costi un happy end, lo potremmo individuare unicamente nelle timide ma buone intenzioni di trovare il coraggio per affrontare noi stessi.

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