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Tre donne nella zona franca della vita

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Amos Gitai legge al femminile la guerra perenne israelo-palestinese

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LA «FREE Zone» è una zona franca che si estende per pochi chilometri quadrati attorno alla linea di confine tra Israele e la Giordania. Vi confluiscono, per commerci piccoli e grandi, sia palestinesi sia israeliani, senza preoccuparsi delle contese politiche che tuttora li dividono. Amos Gitai, sempre attento con il suo cinema ai problemi mediorientali, cui, pur essendo israeliano, ha sempre guardato con obiettività, in attesa di soluzioni pacifiche, ha affrontato questa volta il tema soltanto dalla parte delle donne. Con modi realistici, ma anche con riferimenti simbolici. Tre donne, perciò. Una, Rebecca è americana; figlia però di un ebreo, vive a Gerusalemme. Un'altra, Hanna, è israeliana e vive a Tel Aviv. La terza, Leila, è palestinese, e vive ai margini della Giordania. Si incontrano perché Rebecca, avendo abbandonato il fidanzato che, sotto le armi, si era macchiato di uno stupro, sale su un taxi guidato da Hanna chiedendole di portarla lontano da lì, anche se in quel momento, Hanna ha solo lo scopo di arrivare nella zona franca dove un palestinese, detto "l'americano" perché ha vissuto a lungo negli Stati Uniti, deve a lei e a suo marito dei soldi perché gli hanno venduto delle automobili blindate. Arrivati a destinazione, però, non lo trova, trova invece sua moglie, Leila appunto, che quei soldi non li ha più. Di fronte al battibecco subito esploso fra le due donne, Rebecca si fa da parte, lasciando che la soluzione della contesa se la trovino sa sole... Una conclusione significativa e allusiva cui Amos Gitai ci fa giungere dopo un percorso che solo in apparenza cita il "road movie" perché, ad ogni tappa, lo carica di sottintesi psicologici che presto sanno diventare anche politici: con la dimostrazione, in filigrana , che, a sedare il contrasto, basterebbe che i contendenti si capissero. Facendo ricorso, molto più che in altri suoi film, a un linguaggio cinematografico teso, in alcuni passaggi, ad una vera e propria ricerca di stile. L'inizio, ad esempio. Di Rebecca non sappiamo nulla, è sul taxi e piange, affidata ad un lunghissimo piano sequenza. Il motivo di quelle lacrime - la decisione di lasciare il fidanzato dopo l'ammissione dello stupro - ci è rappresentato con immagini che via via si sovrappongono e con battute fuori sincrono; mentre, alla fine, lo scontro verbale fra l'israeliana e la palestinese sui soldi svaniti nel nulla ci è soprattutto detto, sempre in piano sequenza, con un gestire muto, ma eloquentissimo. Con un solo stacco, quello di Rebecca che se ne va. Il pubblico, forse, segue a fatica. Ma sono pagine di grande cinema. Recitate per di più da tre interpreti di vaglia. G. L. R.

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