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Il nuovo «Meridiano» Mondadori ripropone il dibattito sulla figura del filosofo tedesco

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Heidegger imputato della Storia

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1676,euro 55): ed ecco ridestarsi il dibattito sul pensatore e sull'uomo. Fu l'erede di Edmund Husserl o propose itinerari di ricerca completamente nuovi? Fu un esistenzialista il cui percorso può essere collegato a quello umanista e progressista di Jean-Paul Sartre oppure un filosofo dell'essere, ben radicato nella tradizione dell'Occidente, ostile alla modernità, ansioso di rifondare la tradizione attraverso una riscoperta della "autenticità", e cioè dei valori profondi del linguaggio, della terra, della natura, della comunità, del destino? E se accettiamo l'immagine del "rivoluzionario-conservatore", possiamo "legittimamente" affermare che Heidegger sia stato un "nazista"? Magari aprendo un nuovo fronte di discussione per decidere se dargli la patente di convinto e appassionato seguace del Führer (almeno per qualche tempo) o quella, meno imbarazzante ma comunque impegnativa, di "intellettuale di area"? A nostro avviso, non ha senso intentare alcun procedimento giudiziario che preveda un'accusa e una difesa. Non ha senso ragionare in questi termini. Il fatto che Heidegger sia stato nazista, Pound fascista, Picasso stalinista toglie qualcosa al genio del pensatore, del poeta, del pittore? Ovviamente, no. Le ideologie totalitarie del Novecento, con la loro mistica, i loro appelli alla mobilitazione, i loro eroici furori vòlti alla costruzione dell'"uomo nuovo", la loro capacità di "sedurre" gli intellettuali, facendoli sentire protagonisti della Nazione e della Rivoluzione, sono state coinvolgenti e sconvolgenti. Si tratta, allora, di prenderne atto, "ripensando", con lucidità e obiettività, un secolo tutt'altro che "breve", come lo definisce lo storico marxista inglese Eric Hobsbawn, anzi talmente "lungo" che non ne siamo ancora usciti. Infatti, le ideologie che lo segnarono e gli uomini che seguirono quelle ideologie sono ancora elementi di scontro politico e non di valutazione storica "sine ira et studio". Heidegger? Richard Evans ("La nascita del Terzo Reich", Mondadori) non ha torto quando scrive che negli ultimi anni di Weimar il filosofo - che nel 1927 aveva acquistata fama straordinaria proprio con "Essere e tempo" - "era giunto a credere nella necessità di un rinnovamento della vita e del pensiero tedeschi, di una nuova era di unità spirituale e di redenzione nazionale". Ed è così che, agli inizi degli anni Trenta, pensò di aver trovato nel nazionalsocialismo la risposta che cercava. E che era poi una risposta politica a un interrogativo filosofico: che cosa ci fa l'uomo nel mondo? Ebbene, quest'uomo "fa" se riesce a dare un senso alla vita. Ma vivere significa essere "dentro" una storia e una tradizione, appartenere a una terra e a una comunità, partecipare a una volontà e a un destino che, per un tedesco, si incarnano nel Führer. Il 21 aprile 1933, Heidegger viene eletto rettore dell'Università di Friburgo nel Baden, il 1° maggio prende la tessere del Partito Nazionalsocialista, il 26 maggio pronuncia un discorso in omaggio di Albert Leo Schlagater, volontario della Prima Guerra Mondiale, combattente dei gruppi armati contro gli occupanti francesi in Renania, fucilato dieci anni prima e da allora assurto a icona crociuncinata come "il primo soldato nazionalsocialista tedesco". Heidegger inizia il suo discorso dinanzi a mille militanti con queste parole: «Per onorarlo, meditiamo un attimo su questa morte, per intendere da questa morte la nostra vita». E lo conclude tra una selva di braccia alzate. Ed eccoci al 27 maggio e a quel "Discorso del Rettorato", che da sempre è una sorta di "capo di imputazione" contro Heidegger. Un momento solenne. Sono presenti le massime autorità del Baden, rettori di svariate università tedesche, l'arcivescovo di Friburgo, "gli studenti delle SA con le bandiere a croci uncinate e le associazioni autorizzate a praticare il duello alla spada"

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