Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Il mito dei Pink Floyd nelle mani di Gilmour

default_image

  • a
  • a
  • a

David Gilmour ha suonato domenica all'Auditorium di Roma e ha meravigliato ancora una volta il suo pubblico. Sul palco Gilmour è più di se stesso e porta nelle sei corde il mito e la storia degli ultimi quarant'anni di rock. Il concerto dell'Auditorium è stato solo un pretesto per mettere in scena un rito collettivo, una cerimonia musicale con tanto di officianti e oggetti liturgici. Il live è cominciato alle 21 in una Sala Santa Cecilia gremita in ogni ordine di posti. L'artista era accompagnato da cinque musicisti, tra cui l'altro Pink Floyd, Richard Wright, alle tastiere, salutato con una vera e propria standing ovation. E ancora Guy Pratt al basso e Phil Manzanera, ex Roxy Music, alla chitarra. Come se non bastasse, faceva capolino al sassofono anche Dick Parry, già presente in «The dark Side of the Moon». Come dire un'enciclopedia vivente tutta lì a disposizione. Le luci si spengono e si parte con «Castellorizon» e «On an island». La sala è inondata dal suono inconfondibile della chitarra di Gilmour: ogni nota arriva dritta al cuore e trae nuova linfa dalle tastiere di Wright. Nella prima ora tiene banco l'ultimo album: brani ispirati che vanno da «The blue» a «Red sky at night», passando per «This heaven» e «Then I close my eyes». La prima parte si chiude con «Take a break», «Smile», «A pocketful of stones» e «Where we start». Il meglio stava per iniziare. Una pausa di mezz'ora dà il tempo alla platea di riprendere fiato e proiettarsi nella storia dei Pink Floyd. Bastano due sole note di chitarra per capire che il regalo si chiama «Shine on you crazy diamond». L'Auditorium è in delirio. Risuona il meglio dei Pink Floyd con cura e dettagli filologici anche nella scelta di suoni ed effetti della batteria che riproducono fedelmente quelli usati negli anni dalla band inglese. Il dado è tratto. I contorni dei Pink Floyd si materializzano di fronte al pubblico e fanno venire i brividi. L'emozione cresce con «Dominoes», «Fat old sun» e si comincia a raggiungere la vetta con il binomio «Breathe» e «Time». Il momento più alto del live è senza dubbio la lunga cavalcata psichedelica «Echoes» che incanta la folla in venti minuti fuori dal tempo. Poi c'è spazio anche per la campana di «High hopes». Il live volge al termine con i bis di «Wish you were here» e «Comfortably numb» che chiude la serata. Il cuore resta aggrappato a uno degli «a solo» più ispirati della storia e che il pubblico romano vorrebbe non finisse mai.

Dai blog