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Ma i registi spesso non sono d'accordo Coppola protesta per il gioco del «Padrino»

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Giunta dopo molte polemiche l'uscita del videogame sancisce il definitivo matrimonio tra cinema e giochi elettronici. Un matrimonio d'interesse e per questo solidissimo. I film fanno pubblicità ai giochi e viceversa, gli appassionati di cinema, giocando, si sentono un po' eroi e un po' star. L'effetto è che film e gioco eruttano danaro raddoppiato. Questo amore, per alcuni un po' perverso, tra cinema e videogame, nato tempo fa in sordina, ha soppiantato una «vecchia fiamma» del mondo di celluloide: la letteratura. E non è un caso se oggi a una delle più fortunate unioni tra letteratura e cinema, appunto quella tra il romanzo «Il padrino» di Mario Puzo, scritto nel '69, e il film di Coppola del '72, si è sostituita l'unione tra il film e il videogioco. Ma contro la volontà di chi quel film l'ha pensato e realizzato. Con il gioco nato dall'accordo tra il colosso Paramount e l'altrettanto grande Playstation gli appassionati potranno far parte di una delle più famose organizzazioni criminali d'America: la famiglia Corleone. Come i protagonisti del libro di Mario Puzo e quelli del film i giocatori dovranno, tra omicidi e vendette, scalare i ranghi del potere mafioso della New York degli anni Cinquanta. Alcuni interpreti della famosa pellicola hanno accettato di prestare la propria voce e le sembianze ai personaggi del videogioco, fra questi Marlon Brando, che ha dato il suo consenso prima della sua morte, due anni fa, e poi James Caan e Robert Duvall, mentre Al Pacino si è rifiutato. Alla Paramount ha detto un no secco anche il regista Francis Ford Coppola, che ha negato qualsiasi tipo di collaborazione al videogioco. «È troppo violento», ha detto. Così come troppo violenti sono considerati quasi tutti i videogiochi che, sotto una pioggia di proteste di genitori e di pedagoghi preoccupati per gli effetti sul carattere dei ragazzi, continuano però la loro marcia trionfale sui computer dei giovanissimi. All'alba dell'era dei videogame, quando c'erano «i marzianini» (il vero nome del gioco era «Space invaders»), «Tennis» e «Break out» (nel quale bisognava abbattere un muro di mattoni colpendolo con una pallina), tutti rigorosamente bidimensionali, nessuno avrebbe mai immaginato che questi «giochini» avrebbero avuto eredi complicatissimi e molto realistici che alla fine avrebbero conteso alla letteratura il primato di «fonte di ispirazione» per il cinema. In quell'epoca vicina, eppure tanto lontana, si era tra la fine dei '70 e l'inizio degli '80, da ogni grande romanzo si traeva un grande film. Qualche volta non si riusciva a capire se... era nato prima l'uovo o la gallina, ovvero se era nato prima il libro o il film, tanto era stretto il legame. È il caso di «Guerre stellari», film del 1977 (allora era solo soletto, non c'erano altri episodi a tenergli compagnia) che arrivò nelle sale contemporaneamente all'uscita del libro, tutto firmato da un giovanotto di belle speranze: George Lucas. Da quel bel connubio tra libro e film nacque di tutto: fumetti, giocattoli, figurine, pupazzetti, merendine, lucenti spade di plastica e, ovviamente, un guadagno stellare (è proprio il caso di dirlo) per Lucas. Di videogiochi, in quel momento, nemmeno l'ombra. Ma i tempi sarebbero cambiati. I videogame entrarono nella vita del cinema (e delle persone) un po' di soppiatto, come un elemento complementare, andando di pari passo, naturalmente, con la diffusione dei computer. Uno dei primi videogiochi legati al cinema nacque attorno a un famoso personaggio partorito dalla fantasia di un amico e socio di Lucas, Steven Spielberg. Il personaggio era Indiana Jones. La fruttuosa unione non arrivò con il primo film, «I predatori dell'arca perduta», era il 1981 ed era troppo presto, ma con il terzo: «Indiana Jones e l'ultima crociata», anno di uscita 1989. Senza che

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