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Sorprende il faraonico impianto scenico Interpreti e corpo di ballo all'altezza

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Dopo quattro anni di fatiche ed un investimento faraonico, circa 10 milioni di euro, l'altra sera il «Principe della notte» si è materializzato al Gran Teatro di Roma, dal quale non si sposterà. «Scrivetelo - si è raccomandato Zard - lo spettacolo con questo allestimento sarà rappresentato solo a Roma, chi vuole vederlo deve venire qui». D'altronde ci si chiedeva quale altra struttura in Italia, se non un palasport, avrebbe potuto contenere un palcoscenico di 1000 metri quadrati ed una scenografia alta 14 metri. Il produttore romano alla fine dello spettacolo era visibilmente commosso ma anche infastidito per un incidente tecnico che ha inficiato il gran finale. Non ha nascosto comunque la sua soddisfazione per aver finalmente fatto vedere la luce (quella che ucciderà Dracula) ad un progetto nel quale ha creduto fortemente. «Quando investo in qualcosa non mi pongo limiti - ha ribadito - l'opera deve essere bella, e così è stato. È nostra, è italiana, e ne sono fiero». Il tutto è partito da un'intuizione di Flavio Premoli, tastierista della Pfm, che dopo aver visto in tv il «Dracula» di Coppola s'è messo al piano ed ha cominciato a dar corpo all'onda emotiva che gli aveva suscitato il film. Ma se proprio un parallelo lo vogliamo fare, questo «Dracula» ricorda più il «Nosferatu» di Herzog che non quello di Coppola. Per il freddo taglio delle luci, per la maschera di dolore e non di orrore del protagonista, per la sofferenza amorosa che lo rende molto umano e poco diabolico. «Lo ritengo un grande complimento - dice Alberto Arias, il regista argentino (lo stesso della «Concha Bonita») al quale Zard ha affidato la direzione dell'opera - Se il mio Dracula assomiglia a quello di Herzog per me è una immensa soddisfazione». E forse non è un caso che la colonna sonora, anche allora, sia stata scritta dai Popul Vuh, gruppo rock tedesco degli anni '70. Calda e avvolgente quella, gotica con accenni metal questa, con le classiche accelerazioni "progressive" tipiche del suono Pfm. Sempre rock è, anche se Flavio Premoli preferisce evitare catalogazioni: «Abbiamo usato il rock ma anche arie da melodramma, non è stato un assemblaggio di canzoni, piuttosto un racconto in musica. Per un compositore questa è la realizzazione di un sogno». Manca, forse, la canzone trainante e riconoscibile, la «Aquarius» di Hair o la «Pinball Wizard» di Tommy, per capirci. Avrebbe lasciato un segno più profondo nella memoria. Certo, l'immenso Ponte di Londra all'interno del quale si svolge l'azione è un gran belvedere, di quelli che tirano fuori gli "oooh!". All'interno del ponte, praticamente nel backstage, c'è il Castello del Conte Dracula, che simboleggia il cervello umano. Perdersi nei suoi labirinti equivale perdersi all'interno di se stessi. È in questo contesto che Dracula (Vittorio Matteucci, bravissimo) vive il suo dramma personale, cerca la reincarnazione della moglie Elisabetta morta suicida 400 anni prima e la trova in Mina, una giovane maestrina inglese. All'uopo, il consiglio è di munirsi del libretto dell'Opera, altrimenti il rischio è di non riuscire a comprendere il ruolo dei personaggi ed il senso della storia. Perché è bene sottolineare che «Dracula» necessita di una capacità di lettura "alta". «È giusto che sia così», sottolinea Arias. Se quest'opera diventerà un pilastro della musica moderna lo diranno i posteri. Certo i numeri e le qualità ci sono: interpreti e corpo di ballo di gran valore, quasi tutti creati dal nulla e gestiti con rigore da Arias («erano dei sacchi di patate») e dalla coreografa Ana Maria Stekelman, scenografia da colossal cinematografico, grande appeal estetico, costumi sfarzosi e di grande eleganza, della musica abbiamo già detto. Il tutto legato dal filo rosso dei testi di Vincenzo Incenso, per il quale Dracula rappresenta la «perfetta metafora della complicata realtà dei nostri giorni», un uomo che attraverso la forza dirompente dell'amore riesce a sovrastare e sconfiggere anche la morte.

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