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D'Alessio

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commosso per Tullio

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La dimostrazione di essere un grande artista, oltre che un grande uomo. E immaginate Tullio che sospiro profondo avrà dovuto fare e da dove avrà dovuto tirare fuori la forza per salire, suonare e sorridere. Mentre dentro forse aveva solo una grande voglia di piangere»: Gigi D'Alessio autore insieme con Mogol della canzone «Musica e Speranza» interpretata da Gigi Finizio con I Ragazzi di Scampia, ha commentato a caldo il dramma che ha colpito il suo concittadino nonchè amico Tullio De Piscopo, che nella quarta serata ha duettato insieme al «suo gruppo». Una serata di coppie, infatti, ieri. Senza chiedere «perdono» a nessuno Tiziano Ferro è entrato dalla parte principale dell'Ariston per movimentare la performance di Michele Zarrillo, «L'alfabeto degli amanti». Ferro, milioni di dischi venduti in tutto il mondo, al giornale che lo ha seguito sin dagli esordi rivela particolari della sua partecipazione. «Ho sempre amato le sue canzoni - ammette il cantante pontino - Con Michele siamo amici, un'amicizia vera che si è costruita nel tempo, tra l'altro non facciamo parte della stessa casa discografica. Il pezzo mi è piaciuto da subito e la nostra performance di questa sera l'ha dimostrato, anche se a dire la verità l'emozione comunque di ritrovarsi su un palco di un così importante spessore mi ha commosso». In fondo queste accoppiate del venerdì servono ad avvicinare artisti lontani o a realizzare piccoli sogni d'artista. «Non ho mai partecipato al Festival (era stato bocciato nel 1997 ndr) non è vero, come molti hanno scritto, che non ci parteciperei. La verità è che non mi piace la competizione». Impegnato nella stesura del suo nuovo album, Ferro è la classica dimostrazione che uno può farcela che volendo, nel giro di tre anni, si possono scrivere e pubblicare due album uno più bello dell'altro. «Sono convinto che essere trasparenti - conclude Ferro - alla fine ripaga sempre, anche se mi espongo di più agli attacchi della gente». E ha ragione. Cacciata dalla porta e rientrata dalla finestra, grazie all'amico Rosalino Cellamare, Loredana Bertè è stata scelta, insieme con Tosca, per interpretare «L'uomo delle stelle», singolo incluso nell'album «Ma quando dici amore» pubblicato mesi fa, in cui Ron duetta con alcuni nomi illustri della canzone nostrana per raccogliere fondi per la Sla (sclerosi laterale amiotrofica). Più agguerrita che mai, indossando una mise che faceva intravedere le forme procaci, ha espresso la sua felicità : per la prima volta quest'anno il premio della Critica intitolato alla sorella, Mia Martini, che verrà consegnato domani, dopo dieci anni arriva sul palco. «Mimì ha solo quello. Mi scocciava vederlo dare sotto banco. È ora di finirla. Negli anni futuri chi presenterà Sanremo lo dovrà consegnare sul palco. Hanno fatto una brutta figura tutti i predecessori di Panariello». Loredana è una mina vacante e non si lascia sfuggire l'occasione per sparare a zero sul mondo della discografia: «Ho dovuto fare un reality per fare un disco. I discografici se hai 50 anni storcono il naso. L'album mi è costato una cifra! Spero che vada benissimo. I dischi, lo sapete, presto non esisteranno più. Ma quando sarò morta almeno il mio disco resterà». Per chi non ne fosse a conoscenza, tra l'altro, Loredana aveva presentato il brano «L'araba fenice», escluso perché presentato mezz'ora dopo la chiusura della consegna dei pezzi. «Avrebbe vinto - sentenzia - Ma adesso vinci te», dice rivolta a Ron. Sicuri di ricevere un «no» da Francesco Guccini, I Nomadi con la loro «Dove si va» si sono rivolti ad un vecchio amico come Roberto Vecchioni, uno che Sanremo l'ha frequentato poco. Anzi una volta sola e nemmeno tanto da ricordare. Correva, infatti, l'anno 1973. «La storia si è ripetuta - racconta Vecchioni. Ho cantato con dei vecchi amici, nient'altro. Era scritto nel destino. Credo me l'abbiano proposta proprio perchè mi somiglia. È una canzone contro la guerra dove non compaiono mai parole scontate

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