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Da nonno Libero al razzismo

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L'ironia di Milena

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In attesa di riprendere la quinta serie della fiction di successo «Un medico in famiglia» per la Rai, l'attrice si libera dei panni della nonna nonché della spiritosa moglie di nonno Libero per assecondare qui le rivelazioni emotive di una vedova solitaria pronta ad affezionarsi a un bambino non suo destinato a una tragica fine. Rimpiangendo il cinema da cui è lontana da tempo e sognando di recitare presto un dramma shakespeariano, Milena conferma la sua passione totale per una professione che la appaga come un gioco sempre diverso e imprevedibile. Cosa le piace di questo nuovo personaggio? «È una signora borghese degli anni Quaranta che si inventa la sua vita solitaria, dopo aver perduto il marito e non avendo avuto figli. Dialoga con la cameriera ed altre signorine del palazzo finché non apprende che i nuovi portinai hanno un bambino. Comincia ben presto a giocare con lui e si offre anche di fargli studiare la musica, scoprendo un istinto materno mai verificato prima. Un giorno però le verrà comunicato all'improvviso che la famigliola è stata deportata dai Tedeschi a causa della persecuzione in atto contro gli ebrei. La donna perde allora la ragione e la cognizione del reale: assume una consapevolezza tutta sua dell'orrore e del razzismo. All'inizio mi calo in una figura femminile leggera e superficiale, ma poi devo restituire la sua profonda evoluzione emotiva». C'è un ruolo della sua carriera che le è rimasto nel cuore? «Probabilmente Alice nello sceneggiato televisivo "Nel mondo di Alice" che andò in onda nel 1974 in nove puntate con la regia di Guido Stagnaro. Per quanto riguarda il teatro ho considerato un vero traguardo i tre monologhi di Beckett che mi hanno fruttato di recente il Premio Duse. La scrittura di un autore così arduo e rivoluzionario è una prova decisiva. Devo dire però che amando molto recitare affronto ogni parte con immenso piacere e disponibilità. Mi sento coinvolta dalla dimensione ludica che è alla base del nostro lavoro e non potrei mai rinunciarvi». «Un medico in famiglia» ha potenziato la sua notorietà. È un'esperienza che la gratifica ancora? «L'esplosione di affetto che ricevo quotidianamente da parte di un vastissimo pubblico non può che essere appagante. Sono ormai otto anni che incarno la nonna dei piccoli Martini, ma non ho modo di annoiarmi perché anche lei ha una personalità ricca, variegata e complessa che muta nel tempo. Ho puntato fin dall'inizio sulla sua ambivalenza che lentamente è andata svelandosi. Dietro un atteggiamento un po' snob, borghese e raffinato si cela infatti una donna che ha perfino subito il trauma di perdere un figlio e che quindi possiede una profondità intima e densa di sentimenti di cui è pudica». Ha nostalgia del cinema? «Sì, mi manca da morire e non solo perché ho avuto la fortuna di lavorare con tanti bravi interpreti e registi. È stato sicuramente il mezzo artistico più importante e significativo della mia vita e gli impegni teatrali o televisivi non possono soppiantarlo. Provo un interesse speciale per l'atmosfera del set e una curiosità estrema per l'insieme umano e creativo che determina la nascita di una pellicola. Ritengo ogni film una costruzione magica e affascinante». Quali occasioni si augura per il futuro? «Porterò in tournée "Il piccolo portinaio" e poi riprenderò anche "Lasciami andare, madre", lo spettacolo diretto da Lina Wertmüller in cui sono una figlia costretta a fare i conti con una madre nazista lontana dal pentimento, incarnata magistralmente en travesti da Roberto Herlitzka. Il mio sogno nel cassetto sarebbe comunque cimentarmi per la prima volta con un testo di Shakespeare o almeno tornare a interpretare un ruolo pirandelliano».

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