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Campiotti banalizza l'universo giovanile

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PRIMA VISIONE

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SEI liceali, quattro ragazzi, due ragazze. Si conoscono da cinque anni, sono amici tra loro, qualcuno, con le ragazze, anche con sentimenti più caldi. Ricambiati. Finita la scuola, chi con onore chi con disonore, prima di affrontare la vita, decidono una vacanza tutti insieme, in montagna, e si ritrovano in un rifugio sulle Dolomiti in faccia al monte Cristallo. Naturalmente, sollecitati da uno di loro che ha il culto delle vette, organizzano subito una escursione cui non partecipano però una ragazza e un ragazzo afflitto da un handicap. I gitanti partono fieri ed allegri, ma in seguito a un acquazzone proprio quello più entusiasta di tutti ha un incidente e muore. Gli altri, naturalmente, si disperano e, presto raggiunti dai soccorsi e dai rispettivi genitori, se ne tornano mesti alle loro case, oppressi dal ricordo dell'amico defunto e faticando non poco a superare il vuoto della sua perdita. Alla fine, però, ci riusciranno e troveranno ciascuno la propria strada. Anche sul versante dei sentimenti. Si è scritta e poi realizzata questa storia Giacomo Campiotti, arrivato qui al suo quarto film per lo schermo e dopo un film per la Tv in Gran Bretagna dal «Dottor Zivago». L'avvio, con la scuola, la fine dei corsi, i risultati degli scrutini, non si discosta molto dai moduli soliti, e così, dopo, i rapporti con gli adulti, con le consuete incomprensioni tra genitori e figli, diventate ormai una maniera. Meglio risolti, in occasione dell'escursione in montagna, i rapporti fra i sei ragazzi, anche se le singole fisionomie non hanno tratti tali da distinguersi molto tra loro. Con la trovata, tuttavia, di alternare la preparazione dell'incidente mortale con la situazione del portatore di handicap rimasto al rifugio con una delle ragazze, mettendo con una certa evidenza in contrasto la calma un po' sognante di quest'ultimo con l'affannata concitazione degli altri, colpiti dalla tragedia che li vede presto coinvolti. Il seguito, tuttavia, con cui si vorrebbe rappresentare l'elaborazione del lutto da parte dei superstiti e le conseguenze che alla fine comporta, non rivela motivazioni psicologiche molto meditate e stenta a convincere. Anche perché i ragazzi, tutti esordienti, non hanno i carismi necessari, pur non privi di spontaneità. Pesano, sul contesto, delle musiche fortemente insistite, allusive e presaghe. In contraddizione con quel realismo di cronaca cui la regia sembra tendere.

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