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Addio Citti, allievo preferito di Pasolini

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Aveva raccolto l'eredità del maestro portando al cinema le storie degli emarginati

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Citti abitava a Fiumicino. Negli ultimi tempi la sua salute si era aggravata: oltre ai problemi di cuore l'artista non si muoveva quasi più e si spostava su una sedia a rotelle. La camera ardente, che resterà aperta dalle 10 alle 18, per Citti sarà allestita questa mattina nella sala della Protomoteca in Campidoglio. La morte ha impedito a Citti di usufruire della legge Bacchelli per gli artisti che si trovano in difficoltà economiche. «De Bacchelli non me ne frega nulla: si ricorderanno di me quando muoio», aveva detto il regista un mese fa, parlando con Angelo Bonelli, coordinatore nazionale dei Verdi, commentando la delusione per il mancato arrivo del vitalizio. La pratica giaceva ancora alla presidenza del consiglio dei ministri. «Lui era molto addolorato e dispiaciuto - spiega Bonelli- per sbloccare al situazione ho scritto tre lettere alla presidenza del Consiglio dei Ministri e a Gianni Letta. Ma non è successo nulla: Sergio è morto senza vedersi riconosciuta la Bachelli». «Sono addolorato per Sergio, ma anche arrabbiato, perché credo che le istituzioni avrebbero potuto e dovuto fare di più per aiutarlo». Così ha reagito Ninetto Davoli alla notizia della morte dell'amico Citti. «Siamo stati compagni di lavoro ma soprattutto amici, sin dall'inizio della mia carriera di attore, quando nel 1963 ho debuttato in "La ricotta" di Pier Paolo Pasolini. Io, Sergio, il fratello Franco e Pier Paolo eravamo legati da una fortissima amicizia, il lavoro si confondeva con il gioco e con i legami personali. Eravamo una famiglia». A Fiumicino Sergio Citti si sentiva a casa: si trovava bene tra la "gente di fiume e di mare", tra i pescatori, persone semplici che avevano popolato le sue pellicole. Quelle stesse persone con il quale, assieme all'amico Pasolini, si intratteneva passeggiando tra i banchi di pesce al molo del porto. Perchè gli amori di Sergio Citti, figlio della Roma di borgata e di periferia, erano proprio questi: la gente, il mare, la pesca. E poi i gatti randagi al vecchio faro, le partite a carte con gli amici al bar. Qui viveva il Citti non cineasta, non attore, ma romano, anzi di Fiumicino quando la cittadina però era borgo marinaro e non ancora appendice lidense di una metropoli.

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