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di DARIO ANTISERI UN FATTO nella scienza è una proposizione che, per quanto ne sappiamo, descrive qualche pezzo di realtà.

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La vita di un fatto è la storia delle teorie che ne parlano. L'atomo è un fatto, ma l'atomo è, precisamente, quel fatto via via raccontato — descritto e spiegato — dai concetti e dalle teorie che intessono la storia dell'atomismo da Democrito a Rubbia. Avevano ragione i medioevali a sentenziare che talia sunt obiecta qualia determinantur a praedicatis suis. Ed ecco come un medico del secolo scorso, Maurizio Bufalini, precisa la natura di quel fatto che è l'oro. «La fisica — scriveva Bufalini — si occupa dei corpi fisici, delle loro qualità sensibili, delle loro relazioni, attraverso l'osservazione dei fatti. Ma la natura non ci offre fatti così semplici da produrre in noi idee semplici». Se uno di noi vede l'oro, prosegue Bufalini, si fa un'idea composta dell'oro, ma qualora se ne considerano l'estensione, la figura, il peso, il colore, la lucentezza riacquistiamo le idee semplici che formano quella composta di oro. «Ma queste sono le qualità sensibili dell'oro, non le modificazioni cui può andare incontro, cioè i fenomeni che appartengono all'oro. Perciò occorrono altre osservazioni: la duttilità dedotta dal fatto che l'oro battuto si distende; la fusibilità perché, riscaldato, si liquefa; la lega con altri metalli perché si scioglie con l'acido muriatico. Questi fenomeni si possono costruire solo con l'esperienza. I fenomeni così osservabili non si esauriscono mai e la scienza fisica ne scopre continuamente di nuovi». E qui Bufalini si chiede se mai avremo una perfetta conoscenza dell'oro. «Esso è l'insieme delle qualità sensibili e dei fenomeni che può racchiudere, ma la sua essenza ci sfuggirà sempre». (...) I «fatti», cioè le asserzioni che, per qual che ci è possibile saperne, descrivono fatti — e le basi empiriche della scienza, insomma sono «antefatti» che vengono continuamente «rifatti» attraverso costruzioni e demolizioni teoriche. Essi non sono dati immutabili, ma «costrutti» che hanno una storia: una genesi, uno sviluppo, mutazioni, e talvolta anche una morte. Ciò che oggi chiamiamo un fatto, ieri era una teoria. Ed è gran parte dell'epistemologia del nostro secolo da Henri Poincaré per giungere alle proposte di P. K. Feyerabend, H. R. Hanson e N. Goodman, che ha frantumato il mito della sacralità dei fatti. Certo, le teorie scientifiche poggiano sui fatti, ma questi non sono una roccia indistruttibile. In altri termini, la scienza ha sì una base, ma questa base non è un fondamento certo. Per dirla con Popper: la base empirica delle scienze oggettive non ha in sé nulla di «assoluto». La scienza non poggia su un solido strato di roccia. L'ardita struttura delle sue teorie si eleva, per così dire, sopra una palude. È come un edificio costruito su palafitte. Le palafitte vengono conficcate dall'alto, giù nella palude: ma non in una base naturale «data»; e il fatto che desistiamo dai nostri tentativi di conficcare più a fondo le palafitte non significa che abbiamo trovato un terreno solido. In breve: «la nostra conoscenza ha fonti d'ogni genere, ma nessuna ha autorità». È in un orizzonte del genere che l'aiuto offerto dalla Evidence Based Medicine non correrà il rischio di trasformarsi in un ergastolo teorico e pratico per i medici. E più che legittimi appariranno quesiti come i seguenti: le «evidenze» della Ebm hanno vita breve o lunga? E non è forse più che necessario sottolineare che l'applicazione meccanica delle linee-guida - supportate dalla Ebm - non è affatto una applicazione oggettiva, cioè in grado di risolvere i problemi di pazienti, ognuno caso-a-sé? Per questo ha ben ragione il clinico padovano Cesare Scandellari allorché, invece che di Evidence Based Medicine, pensa più opportuna parlare di Evidence Guided Medicine. E talvolta l'Ebm non è in grado nemmeno di servire da guida, come quando pone il medico di fronte a due messaggi di segno opposto. A tal

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