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La Gerusalemme di Verdi diventa Baghdad

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La regia di Paul Curran, infatti, ambientava il primo atto sullo sfondo di una città piena di gru - colpita da attentati? -, e i successivi tre nei deserti mediorientali dove i crociati vestiti da moderni soldati si muovevano alla conquista di una Gerusalemme che, pur non apparendo mai, poteva essere benissimo Baghdad. Modernizzare un'opera facendola spiaggiare nell'attualità ha sempre causato polemiche, e anche stavolta materia ci sarebbe: durante un breve e battagliero interludio orchestrale, scorrono flash di prigionieri in tuta arancione modello Guantanamo, prigionieri finiti con colpo alla nuca alla maniera terrorista, o torturati in stile Abu Graib. Il libretto di Temistocle Solera effettivamente mette in scena uno scontro di civiltà degno della Fallaci: dalle maledizioni degli arabi contro «stupri e rapine» di esultanti crociati, alle invettive di quest'ultimi contro «Lo stolto Allahà», verso prudentemente espunto dai sovratitoli, ma cantato dal coro. Certo, certo, erano altri tempi quelli in cui vide luce l'opera, «la crociata» era metafora dell'irredentismo italiano, viva Verdi e via cantando. Ma al di là dello scontro etnico, «I Lombardi» sono di rarissima messa in scena - a Firenze mancavano dal 1948 -, perché il libretto di Solera è un po' «sconclusionato», come non manca di sottolineare la critica, mentre la vicenda con la regia di Curran scandita per quadri acquista unità e consecuenzialità. Una compattezza dovuta però anche alla bacchetta di Roberto Abbado, che ha svolto un serissimo lavoro di concertazione, recuperando dall'autografo di Verdi un'orchestrazione sopraffatta in alcuni punti da incrostazioni successive, scegliendo i tempi con naturalezza, facendo levitare lavicamente scene, arie, concertati e cabalette, e consegnando il celeberrimo coro «O Signore, dal tetto natio» a un'esecuzione emozionantissima con visibilio del pubblico che lo costringe al bis. Tra le voci si staglia Dimitra Theodossiu che nei panni di Giselda attraversa il furore cabalettistico di Verdi magari aggiustandosi le strettoie più impervie, ma in modo più che convincente, e così anche Ramon Vargas in una parte di tenore complessa come quella Oronte, il mussulmano redento e convertito per amore. Nel ruolo di Pagano, altro cattivo che si redime, ma scritto forse per un timbro più massiccio, il baritono Erwin Schott, ottime le sue doti attoriali, inventa un'interpretazione più interiore e affascinante. Completano bene il cast Massimiliano Pisapia, Arvino, e Marco Spotti, Pirro. Ultima replica stasera.

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