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Patrice Chéreau, in Francia, è uno degli uomini di teatro più stimati.

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Ieri sera, con «Gabrielle», rifacendosi a un racconto di Joseph Conrad, «Il ritorno», ha voluto dimostrarci che la letteratura, il cinema e il teatro stanno bene insieme, giovandosi a vicenda. Ha cominciato in bianco e nero. In una strada di un quartiere elegante di Parigi, con un signore distintissimo che, vestito secondo la moda del primo Novecento, ci dice che è soddisfatto della vita, è ricco, fa parte della buona società e ha una moglie piena di virtù, Gabrielle, appunto. Poi ecco uno dei loro «giovedì». Una cena mondana, da questo momento sempre a colori, dove quella «buona società» in cui è immerso il protagonista, che si chiama Jean, è sontuosamente esibita con tutte le sue vanità. Segue un colpo di scena: un biglietto di Gabrielle al marito in cui gli dice che ha un altro uomo e se ne va. Mentre però Jean si dispera («come dirlo alla gente», si chiede subito), lei, inattesa, ritorna e comincia uno psicodramma in tre tempi in cui i due coniugi si affrontano, anche davanti alla servitù sempre dedita a rituali inappugnabili, lei giustificando la sua fuga perché in quella casa si era sentita soltanto un oggetto mondano, lui, pur aggrappato ai suoi usi sociali, confessando invece, nonostante le apparenze, di amarla; sentendosi però replicare da lei che, se lo avesse saputo, non sarebbe tornata. Così sarà Jean, questa volta, a fuggire. Uno psicodramma, appunto, con echi di Ibsen, tutto su di lei anche se in Conrad, invece, tutto era su di lui, un personaggio dato come spregevole. Dialoghi smaglianti, in uno splendido francese anni Venti, scontri ravvicinati tallonati quasi dal vivo con la macchina da presa, una cifra narrativa e stilistica che, tanto più si chiude in se stessa, tanto più si dilata attraverso psicologie ispezionate fino allo spasimo. Le commentano una musica che percuote lacerando e una interpretazione di Isabelle Huppert e di Pascal Greggory di raffinatissima classe: nelle grida e nei silenzi. Intanto, in occasione del Premio Bianchi, del Sindacato Giornalisti Cinematografici, si è celebrato il ricordo del caro Lello Bersani con un felicissimo documentario, «L'uomo del microfono», che, ancora una volta, Antonello Sarno, ha sapientemente costruito con materiale prezioso di repertorio e tante interviste con quanti avevano conosciuto il grande giornalista: da Sophia Loren, a Elsa Martinelli, a Maurizio Costanzo. Una cavalcata nella memoria da cui è riuscito felicemente a riemergere uno dei personaggi più amati della nostra Tv.

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