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Incassi del cinema Usa in picchiata. Ultimo disastro il kolossal militare «Stealth»

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Le idee non ci sono, lo star-system non funziona più e, cosa che per i produttori conta di più, i guadagni si assottigliano. Hollywood è in crisi, la peggiore da quando l'invenzione dei fratelli Louise-Jaen e August Lumière sbarcò negli Stati Uniti. Gli americani per primi hanno iniziato a disertare le sale cinematografiche e lo fanno perché trovano i film brutti. Ma nessuno sa come affrontare l'emergenza. Le cifre parlano chiaro: da tempo gli incassi dei cinema negli Stati Uniti vanno inesorabilmente a diminuire. Il «termometro» dello show-business Usa è dato dai week-end; le entrate sono scese per 21 fine settimana consecutivi fino all'inizio del luglio scorso, per due domeniche c'è stato un flebile segno di ripresa, poi la tendenza è tornata negativa. È necessario anche tenere presente che l'estate negli Stati Uniti non è un periodo di naturale calo, come in Italia. Senza volersi ubriacare di cifre basta confrontare due dati. Il primo film in classifica del box office Usa nell'ultima settimana di luglio dello scorso anno è stato «The Village», del maestro del thriller Manoj Night Shyamalan, con un incasso, in due giorni, di quasi sessanta milioni di dollari. La scorsa settimana in testa al botteghino Usa c'era «Wedding Crashers», una commedia senza troppe pretese che ha racimolato poco più di 20 milioni di dollari. Ma la vera delusione è stato il polpettone in salsa militare tutto avventura ed effetti speciali «Stealth» (arriverà in Italia a settembre), con il premio Oscar Jamie Foxx, che nel fine settimana non è andato oltre il quarto posto, con 13,5 milioni di dollari. Il kolossal costato cento milioni di dollari rischia di incassare meno di quanto serve per pagare le spese. Quello che sta mostrando la corda, infatti, è proprio quel cinema avventuroso tutto basato sugli effetti speciali che fino a ieri aveva fatto fregare le mani ai produttori hollywoodiani. Le novità portate dal computer con la possibilità di realizzare praticamente tutto a costi contenuti avevano fatto intravedere una semplice equazione: «meno spese, più spettatori, uguale guadagni stratosferici». Invece i guadagni sono scesi in picchiata e questo poco tempo dopo il trionfo della grandiosa saga del «Signore degli anelli» tutta realizzata con i computer. I risultati della trilogia girata dal regista Peter Jackson tra il 2001 e il 2003 furono esaltanti: grandioso successo di pubblico, plauso della critica e 17 premi Oscar vinti in totale per tutti e tre i film. In più Jackson venne pagato al salario minimo sindacale, gli attori erano tutti bravi, ma non costosi, e gli effetti speciali digitali, con tecniche ormai consolidate, furono realizzati a prezzi stracciati. Per i produttori Hollywoodiani una pacchia. Cosa potevano desiderare di più? Solo che continuasse così. E invece no. Il fascino del «Signore degli anelli» è evidentemente nell'opera letteraria dalla quale la trilogia è tratta e non negli effetti speciali con cui sono inzeppati i film. Dai tempi recenti di quella grandiosa saga l'ago del cinema negli Stati Uniti ha cominciato a puntare verso il basso e ancora non si è fermato. Anzi. L'equazione «meno spese, più spettatori, uguale guadagni stratosferici» si è dimostrata non semplice, ma tragicamente semplicistica. La Hollywood delle grandi società credeva di aver trovato il Paese dei Ballocchi con attori e registi di poche pretese che, grazie ad effetti speciali computerizzati precotti e surgelati, trascinavano in sala milioni di spettatori. Niente da fare. E contemporaneamente è andato in tilt anche lo star-system. Per i produttori in cerca di utili certi non è possibile rivolgersi ai grandi divi, che non costituiscono più una sicurezza di successo. Quegli attori che fino all'altroieri si potevano permettere di chiedere milioni di dollari, perché trascinavano milioni di persone, oggi sono costretti a non lavorare o a farlo chiedendo un quinto, o meno, di quello

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