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MACERATA — Il «Don Carlo» a considerazione di molti è tra le opere più riuscite e complete di Verdi.

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C'è naturalmente, come spesso accade in Verdi, il conflitto generazionale che si fa qui scontro aperto, c'è un amore giovanile impossibile calpestato dalle leggi della ragion di stato, c'è soprattutto il legame di un'amicizia imperitura, c'è l'idealismo politico contrapposto all'assolutismo più bieco e infine persino il fanatismo religioso. Tutti temi che non hanno mai smesso di essere attuali dal tempo della Spagna drammaturgicamente ridisegnata da Schiller sino ad oggi. Un'opera complessa e grandiosa, dunque, chiamata ad aprire quest'anno le rappresentazioni liriche di quello spazio scenico unico che è l'oblungo Sferisterio di Macerata. E a Macerata sotto la direzione di Gustav Kuhn, che tornava sul podio dello Sferisterio dopo dodici anni, l'opera verdiana è arrivata nella prosciugata più tarda edizione scaligera in quattro atti (del 1884) ed in un allestimento non sempre apprezzabile del pittore - qui scenografo, costumista e regista - Lorenzo Fonda. Facendo tesoro degli spazi architettonici dello Sferisterio, Fonda mostra di prediligere una umanità statica e in atteggiamenti plastici. Due marmorei giganti pensierosi, accovacciati su se stessi fungono da sipario, mentre le scelte cromatiche esaltano il bianco, come nella amena scena femminea del secondo quadro, il nero (i costumi maschili) ed il rosso. Tutto viene essenzializzato e stilizzato: una pietra bislacca basta ad evocare l'avello sepolcrale di Carlo V, neppure un tavolo o una sedia per il gabinetto-studio di Filippo II nella grande scena madre del III atto segnato dai tratti pittorici di un Watteau e per il precedente incontro dei due innamorati una gigantesca scultura di amanti di sapore neoclassico. Poco incisiva poi la regia, statica e a tratti incomprensibile, come ad esempio nell'epilogo con il frate (il vero o presunto Carlo V) a sottrarre l' Infante Carlo alla ormai prossima fine con i frati che restano di stucco. adoranti dinanzi al rudere di muro. Poco soddisfacente anche il cast vocale in cui al di sopra della aurea professionalità si dimostra solo il Rodrigo del bulgaro Vladimir Stoyanov. Appena accettabili il Don Carlo di David Sotgiu e la Elisabetta di Michela Sburlati, in crescendo l'Eboli di Tiziana Carraro, proprio rivedibili il Filippo II vocalmente sfocato di Andrea Silvestrelli e il poco perentorio Grande Inquisitore di Zelotes Edmund Toliver. Buona la prova del coro. Lor. Toz.

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