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Libertà ed eguaglianza Il possibile matrimonio fra due valori opposti

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Anche intuitivamente è facile rendersi conto del perché questo sia avvenuto. Se voglio che gli individui in una società siano il più possibile liberi, ossia non impediti da altri individui (o dallo Stato) nelle loro possibilità di azione, non potrò chieder loro di rinunciare, in ragione dell'uguaglianza, a parti consistenti del loro reddito. Viceversa, se voglio che i cittadini siano eguali non solo di fronte alla legge, ma anche nelle loro opportunità, non potrò dar loro la più ampia libertà possibile, perché i ricchi dovranno rinunciare a una parte del loro reddito a favore dei poveri. Ma rinunciare a una parte di reddito equivale a rinunciare alle azioni che quel reddito mi avrebbe consentito. Non a caso Norberto Bobbio considerava, con voluta e conscia approssimazione, libertà ed eguaglianza come i valori guida rispettivamente della destra (liberale) e della sinistra (liberale e non). Ovviamente molto dipende da come i due termini in questione vengono definiti. Se considero libero solo un uomo che non abbia solo la possibilità di agire, ma anche i mezzi per farlo, allora, con un trucchetto retorico, riterrò libera solo quella società in cui i mezzi materiali siano equamente ripartiti. Ecco allora l'argomento per cui le società capitalistiche sono in realtà società poco libere (in quanto la libertà è appannaggio solo di pochi fortunati e comunque non di tutti). Viceversa, se considero l'uguaglianza solo dal punto di vista formale (ossia come mero possesso delle libertà civili), allora anche la società dove convivono miliardari e morti di fame sarà una società eguale. Nel suo ultimo libro, "La libertà eguale" (Feltrinelli 2005), Ian Carter naviga in uno spazio di compatibilità tra questi due valori in apparenza collegati come lo sono i due termini di un ossimoro. In particolare, egli parte dalla constatazione che il diritto alla eguale libertà sia un diritto riconosciuto e condiviso da tutti i filosofi politici liberali e, oserei dire, da tutto l'arco delle forze politiche delle società liberal-democratiche. Tutti, insomma, sembrano essere d'accordo sul fatto che chi nasce povero deve essere risarcito in quanto non è affatto responsabile per la sua condizione che gli impedisce appunto gli stessi spazi di libertà di altri. Partendo da questa premessa condivisa, a cui segue un'analisi attenta dei concetti in questione (diritto, libertà, eguaglianza), Carter giunge a dare un quadro chiaro di cosa significhi davvero sostenere il diritto all'eguale libertà, quali assetti sociali tale diritto licenzi e quali escluda, con quali versioni di liberalismo si accorda e con quali è pressoché incompatibile. Siamo di fronte a un lavoro serissimo di un filosofo politico altrettanto serio che alla confusione della politica gridata e di una certa filosofia politica che si riduce a seguirla oppone il discreto, metodico lavorio della ragione. Alla fine del libro, infatti, anche se non si condivide la conclusione dell'autore, si ha l'impressione di aver passato le proprie intuizioni morali e politiche al setaccio, di essersi, molto semplicemente, chiariti le idee. Si può chiedere di più a un libro di filosofia?

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