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Frankie: «Al Live 8 non mi hanno voluto»

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L'autore attacca con parole e musica lo show-biz, la televisione, la smania di rivedere la Costituzione. «Spero che la gente capisca che non importa da dove parlo, ma di cosa parlo». Questo è Frankie Hi Nrg, all'anagrafe Francesco Di Gesù, che presenta la sua ultima fatica, una raccolta di dodici brani più un inedito «L'idea del disco è nata sul palco, in occasione di uno spettacolo, intitolato appunto "Rapcital", che abbiamo portato in giro in Italia la scorsa stagione». Nell'unico brano inedito della raccolta «Dimmi dimmi tu» denuncia la stupidità di un certo esponente tipo della generazione televisiva «In realtà non parlo dei programmi in particolare, ma piuttosto delle persone che li guardano e che vi partecipano. Non ho nulla contro i reality show: sono spettacoli televisivi, e se non mi piacciono posso sempre spegnere la tv. Però trovo aberrante che il tipo di mentalità propugnata da questi spettacoli autorizzi delle persone prive di qualità a comportarsi come delle vere e proprie star». E Music Farm? Alcuni colleghi lo hanno trovato un'interessante esperienza sociologica. «Non credo. Sarebbe stato interessante, dal punto di vista sociologico, se i partecipanti non fossero stati messi al corrente di partecipare ad un reality. Credo che nel concetto "reality show" la percentuale di show sia sempre preponderante rispetto a quella di reality». L'aspettavamo sul palco del Live 8. «Non mi hanno contattato, evidentemente non mi considerano un richiamo abbastanza forte per il pubblico. Ritengo che il criterio alla base del cast sia stato quello della cassetta: io non c'ero, ma c'era Nek. E poi mancava anche Daniele Silvestri un altro promulgatore di valori attraverso le sue canzoni. In compenso ci siamo subiti una sorta di "predica" di Renato Zero che voleva farci venire il senso di colpa per non dare l'elemosina a chi si offre di lavarci i vetri agli angoli delle strade. È un grande artista e un eccellente autore, ma lo preferivo quando, ammantato di piume e paillettes proponeva argomenti sociali». Cosa è rimasto secondo lei dell'hip - hop nel nostro Paese? «Ne ho sempre preso le distanze, e non mi sembra che stia un granché bene, oggi come oggi. Mi piace Caparezza, perché, a differenza di molti altri, ha la giusta miscela di intrattenimento, critica ed introspezion. È genuino, ed ha saputo farsi le ossa con una lunga gavetta. Eppure, in Italia ma ancor di più oltreoceano, il rap vende ed è molto apprezzato, anche se non ho una buona opinione di quello che si intende convenzionalmente per hip-hop. Le donne, i soldi, la violenza e il potere, tutte le cose che vengono puntualmente magnificate dal gangsta rap americano di turno, sia 50 Cent, The Game, Snoop Dog o chiunque altro, potevano rappresentare un'interessante istanza sociale (parzialmente comprensibile) nella realtà dei ghetti americani prima della grande rivolta a Los Angeles. Adesso mi sembra solo umiliante e stupido: sembra un grande carrozzone carnevalesco senza una meta». E della discografia ? «È morta: pensate che guadagno 0.60 centesimi di euro lordi a disco. Tuttavia, a differenza di molti operatori del settore, penso che chi scarica musica da Internet non sia un criminale: quando ho saputo che il giorno stesso che è uscito il mio disco più di 200 persone hanno uploadato sui proprio computer i miei brani mi sono sentito molto soddisfatto». Ha mai pensato a un lungometraggio? «Piuttosto mi piacerebbe realizzare una sit-com, cosa che gli italiani hanno dimostrato di essere assolutamente incapaci di fare. Qualcosa sullo stile di Cin-Cin, dove si ride dall'inizio alla fine».

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