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Cercava un contatto segreto con Churchill per arrivare a una pace di compromesso

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Condannato all'ergastolo al processo di Norimberga, Hess si è spento nel carcere alleato di Berlino nell'agosto 1987, forse suicida, a 93 anni suonati, senza aver mai schiuse le labbra. L'uomo che rimarrà nel Guinness dei primati per aver scontato la più lunga pena detentiva della storia, s'inflisse da solo un'altra lenta tortura, fingendosi pazzo per non tradire il suo capo e portando il suo segreto nella tomba. Ma che segreto era? Nella corte di falliti e psicopatici allevati da Hitler con materna cura, Hess era uno dei pochi, se non l'unico personaggio (relativamente) normale. Senza l'incontro con il nazismo, avrebbe continuato a occuparsi della prospera azienda di famiglia. Nato e cresciuto in Egitto, dove il padre aveva interessi commerciali, il silenzioso, morigerato e già noiosissimo Rudolf compie vent'anni allo scoppio della grande guerra e diventa un coraggioso aviatore. Cessate le ostilità, studia filosofia a Monaco e nel clima anarchico della bohème postbellica, incontra i due personaggi che cambieranno la sua vita per poi rovinarla. Il primo è ovviamente Hitler, di cui diventa segretario e che segue in galera (evidentemente ci si trovava bene) dopo il fallito putsch del novembre 1923, scrivendovi sotto dettatura il Mein Kampf. L'altro è Karl Haushofer, docente universitario, noto allora e tornato ad esserlo in questi ultimi anni, come uno dei padri della geopolitica. Pensatore oscuro quanto la «scienza» che coltivò, Haushofer sosteneva che il destino della Germania era continentale, mentre quello dell'Inghilterra navale e coloniale: ergo i due paesi e i due popoli, per di più etnicamente affini, avevano ottimi motivi d'intesa. Per spartirsi il mondo tra loro bastava che gli inglesi ampliassero l'impero in Africa e in Asia (previa intesa col Giappone, di cui Haushofer, già insegnante all'accademia militare di Tokyo, era grande ammiratore) lasciando alla Grande Germania uno «spazio vitale» a ovest (Alsazia, Austria, un pezzo di Benelux e l'Italia «visigota») e soprattutto a est: Cecoslovacchia, Polonia e Ucraina, con magari un'altra fetta di Russia tanto che c'erano. Quanto agli Stati Uniti, inutile occuparsene: era un'accozzaglia di gangsters e cow boys, e prima o poi sarebbero finiti in qualche riserva nel deserto in compagnia di negri e pellerossa. Questa massa di scempiaggini, contenute in opere di cui la più agile contava mille pagine, finirono di stravolgere il modesto cervello di Hess, che non si diede pace finché non mise in rapporto i suoi due maestri. Hitler colse la palla al balzo: Haushofer era allora un nome autorevole, che gli serviva e dava prestigio al suo movimento. Prese con sé anche il figlio del professore, Albrecht, un giovanottone gioviale e sprovveduto, che aveva studiato in Inghilterra e si era creato molti contatti in quell'aristocrazia fascistoide che anche Dino Grandi coltivò con successo più mondano che politico durante la sua ambasciata a Londra, dal 1932 al 1939. Dopo l'ascesa al potere del nazismo, Hess e i suoi due compari si dedicarono anima e corpo a ottenere l'alleanza, o comunque una benevola neutralità britannica nel caso di un nuovo conflitto mondiale. Hitler li lasciava fare: dopotutto neanche lui voleva la guerra con gli inglesi, ma non prendeva molto sul serio i tre «H», come venivano chiamati, con il tradizionale disprezzo del politico di razza per gli intellettuali. Li prende invece molto sul serio lo storico Martin Allen, autore di un libro apparso a Londra che se non mette la parola fine alla vicenda, ci va assai vicino (The Hitler/Hess Deception, Harper&Collins, pp. 320). Allen ricostruisce minuziosamente la fitta rete di contatti che i tre «H» riuscirono a tessere oltre Manica, specie negli ambienti intorno a re Edoardo VIII, le cui simpatie per la G

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