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Fatale Gréco, l'Auditorium sembra l'Olympia

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Scarna scenografia in bianco e nero per ricordare i colori e le atmosfere dell'esistenzialismo

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Si è concluso ieri sera il breve tour italiano di Juliette Gréco, icona, musa, donna fatale sofisticata e, al tempo stesso, dolce cucciolo dal nasino all'insù e gli occhi grandi e lucidi, mandorlati. La "rosa delle tenebre" conserva intatto quel fascino che ha sedotto intere generazioni di poeti e compositori. Non si può non restare soggiogati al suo solo ingresso in scena, sulle note dell'ouverture «771» composta per lei dal pianista Gérard Jouannest, suo compagno sul palcoscenico e nella vita. Alla guida di un quintetto composto, inoltre, da Barthélémy Raffo alle chitarre, Hermes Alessi al basso, Serge Tomassi alla fisarmonica, Gérard Gésina alla batteria, Jouannest ha guidato sapientemente, da direttore musicale, il prezioso carillon pieno di melodie immortali. La Gréco, poco ore prima dell'esibizione, ha annullato le interviste che il suo entourage aveva programmato per lei, stanca dopo i tre concerti in pochi giorni di Castiglione delle Stiviere, di Catania e Catanzaro. L'ultima data richiede sempre uno sforzo e una concentrazione maggiore, ma nell'oscurità della sala più prestigiosa dell'Auditorium, il gioco del bianco e del nero (i suoi colori, i colori delle fotografie che ce la fanno riconoscere, i colori dell'esistenzialismo) ha emozionato le menti coscienziose di certe letture, sedotte dalla poesia d'amore militante e dai classici della canzone francese. Ora che quelle persone formidabili che hanno scritto per lei non ci sono più, la Gréco ha consegnato la sua voce e il suo incedere elegante, fasciato dal colore nero della sua divisa, da quella linea bianca tra i capelli, al suo Gérard, che con Jacques Brel ha scritto «La chanson des vieux amants». Sono una decina i brani in scaletta scritti da Jouannest, ma la prima canzone è «Je jouais sous un banc» di Manset, tratta dal suo ultimo cd, uscito nel 2003, «Aimez-vous les uns les autres ou bien disparaissez» (grosso modo «amatevi o sparite»), seguito dalla erotica «Jolie mome» scritta da Léo Ferré, di cui ripropone anche la sfrontata «Paris canaille». Oltre venti canzoni tra Brél (con «Ne me quitte pas» sul finale), e il Gainsbourg di «Accordeon» e de «La javanaise». «Adoravo Serge - ha detto recentemente la cantante francese - "La javanaise" l'ha scritta una notte in cui avevamo cenato insieme, a casa mia. Faceva caldo, ascoltavamo dei dischi. Io mi ero messa a danzare, forse perché era estate, forse perché avevamo bevuto champagne. All'improvviso mi era venuta voglia di ballare, lui mi guardava. Così è nata la canzone». Fu proprio in un giorno d'estate - ha confidato per la prima volta nel camerino dell'Auditorium - che la Gréco indossò un abito verde, al posto del prevedibile nero. Una volta sola nella vita che ricorda sorridendo, stringendo fra le mani la rara registrazione dei suoi concerti radiofonici in Italia, pubblicati adesso in cd dalla Rai e da Twilight Music nella collana discografica «Via Asiago 10». Oggi, proprio come in quelle registrazioni, lo stile e il rigore sono rimasti intatti. Con voce ferma, la Gréco annuncia i suoi autori prima di ogni brano. Un brivido quando tocca a Jacques Prevert e Joseph Kosma: rivivono come petali di ciliegio «Les feuilles mortes».

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