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di LUCIANA VECCHIOLI DOPO il bellissimo «L'uomo del treno», premio del ...

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Pellicola che ha già avuto modo di farsi apprezzare allo scorso festival di Berlino e che sarà nelle sale da venerdì distribuito dalla Lucky Red. La storia gira intorno alla figura di Anna (Sandrine Bonnaire) che un giorno apre per sbaglio la porta di un consulente finanziario (il bravo Fabrice Luchini), credendo fosse quella di uno psicanalista al quale poter raccontare i suoi problemi matrimoniali. Intrigato il consulente non rivela la sua identità e tra i due si istaura uno strano rituale. Leconte come è nata l'idea del film? «Mi hanno chiesto di leggere una storia di appena trenta pagine. Ho pensato subito che c'erano tutte le premesse per un thriller sentimentale, un po' alla Hitchcok. Mi ha ispirato ed a quel punto ho iniziato a lavorare all'adattamento». Cosa l'ha colpita in particolare? «L'incontro inusuale e allo stesso tempo così intimo. Il fatto che i due protagonisti si aprano lentamente. La magia del cinema è far incontrare delle persone totalmente diverse tra di loro e vedere cosa viene fuori, come evolvono. Sono convinto che si possa cambiare solo attraverso il contatto con le gli altri». Se invece di una donna a sbagliare stanza fosse stato un uomo, sarebbe andata così? «Non direi, è noto che gli uomini hanno maggiori difficoltà a raccontarsi». Quanto conta la comunicazione in tutto questo? «E' fondamentale. Nell'era della comunicazione di massa, anche attraverso sistemi molto sofisticati, il problema dell'uomo di oggi è la solitudine». Quanto c'è di autobiografico in «Confidenze troppo intime»? «Sicuramente, come spesso accade ad un regista, una gran parte. Le emozioni che suscita sono anche le mie. Penso che si vogliono fare dei buoni film occorre essere sinceri». Ha trovato difficoltà nel tradurre in immagini ciò che ha scritto? «Non ho mai sofferto d'insonnia come nel periodo delle riprese. Filmare per un'ora e mezza due persone dentro una stanza senza suscitare noia è un'impresa non certo facile». Secondo lei il finale non è forse un po' scontato? «Il film è giocato sulle attese, sul fatto che i due si attraggono e allo stesso tempo si respingono, ma volevo che alla fine si andasse verso la luce. Comunque non mi sembra il classico happy and». Dopo tante insistenze ha finalmente acconsentito a girare in America il remake del suo celebre noir dell'89 «L'insolito caso di Mr. Hire», come mai? «Mi ha convinto la sceneggiatura scritta da Paul Auster e poi ho in mente di chiamare ad intepretarlo Jhon Turturro e Naomi Watts».

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