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«IL SERVO UNGHERESE» DAL 21 MAGGIO NELLE SALE

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«L'Olocausto della cultura»Piesco e Molteni si sono ispirati a un racconto di Levi Montalcini

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Massimo Piesco e Giorgio Molteni sono partiti da questo concetto per costruire la storia de «Il servo ungherese», uno dei film più interessanti della stagione che approderà nelle sale il 21 maggio distribuito da Medusa, ambientato in un campo di sterminio tedesco durante la guerra, girato al confine tra Serbia e Romania. I due registi si sono avvalsi anche di un ottimo cast di attori provenenti da una solida esperienza teatrale. La vicenda del maggiore delle SS August Dailermann (interpretato da Tomas Arana), di sua moglie Franziska (Chiara Conti) e del prigioniero ebreo Miklo's (Andrea Renzi), colto professore che cerca di instaurare con i due, nei quali individua un forte disagio interno, un confronto intellettuale che li possa portare ad acquisire coscienza di quello che avviene. «Il film offre l'opportunità di osservare quel particolare momento storico da un punto di vista diverso - dice Massimo Piesco, scrittore ed autore teatrale, che ha elaborato soggetto e sceneggiatura - centrando l'attenzione su quel sapere che è andato distrutto assieme ad una parte della popolazione europea. In quegli anni vennero avviati allo sterminio numerosi intellettuali che determinarono un impoverimento non solo demografico. Senza parlare della dispersione e talvolta distruzione di una grande quantità di beni di valore artistico, come dipinti o opere librarie». Piesco, che tipo di rapporto si instaura tra il prigioniero e la coppia? «Tra loro nasce una sorta di duello intellettuale, attaverso il quale l'ungherese capisce di poter contrastare il suo carnefice, per cercare la salvezza». Come nasce l'idea del film? «Da un racconto del premio Nobel Rita Levi Montalcini, che, durante la persecuzione razziale, era stata costretta a proseguire i suoi studi in un laboratorio casalingo ricavato in un sottoscala». Teufelwald è il nome del campo nazista. Ma esiste davverò? «No, è completamente inventato. Non volevamo fare nessun accostamento a luoghi drammaticamente famosi, ma raccontare un ipotetico campo di sterminio». Perchè avete voluto creare il contrasto tra il lusso e il disquisire intellettuale della casa ed il raccapriccio delle migliaia di persone uccise nei forni crematori? «Perchè lo viviamo quotidianamente. Fa parte della natura umana. Da un lato l'uomo produce arte, tecnologia, cultura e allo stesso tempo è capace di determinare orrore e morte». Si parla sempre più spesso di un rigurgito dell'antisemitismo. Cosa ne pensa? «Più che altro credo ci sia un pericolo serio e reale della stupidità e dell'incultura».

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