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di GIAN LUIGI RONDI IL VESTITO DA SPOSA, di Fiorella Infascelli, con Maya Sansa, Andrea ...

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NELLO spettacolo italiano Fiorella Infascelli, figlia di un noto produttore cinematografico, si è conquistata, da qualche tempo uno spazio decoroso. Sia quando ha esordito in televisione con «Ritratto di donna distesa», sia, più tardi, come sceneggiatrice e regista di due film non privi di interesse, «La maschera», una sorta di amori non corrisposti ambientata nel Settecento. «Zuppa di pesce», una rivisitazione autobiografica dei suoi rapporti con il padre. Dando sempre rilievo all'analisi di personaggi femminili, costruiti, nel secondo film, anche con plausibili risvolti psicologici. Un carattere femminile anche nel film di oggi, affidato a uno spunto insolito e, all'inizio, pronto a suscitare attenzione. Ce lo propone la protagonista, Stella, che il giorno in cui si è provata l'abito da sposa, viene violentata da quattro individui mascherati che, per garantirsi maggiormente l'anonimato, le hanno messo addirittura un cappuccio in testa. Distrutta, annulla le nozze, lascia gli studi e anche il fidanzato (desideroso adesso di allontanarsi a sua volta) e va a impiegarsi senza più aspirazioni di sorta in una pasticceria. Le ridà un po' di vita l'incontro con Franco, il proprietario del negozio dove aveva ordinato l'abito da sposa. Presto se ne innamora, ricambiata, ma noi sappiamo, per averlo visto prima, che Franco era uno dei quattro stupratori. Ora è così turbato e pentito che si è separato dal gruppo, dedito, fra l'altro, a imprese anche più infami. Chissà, arriverebbe a svelarsi, ma Stella scopre prima la verità e proprio mentre lui le muore di fronte per un incidente d'auto forse cercato. Lo svolgimento, però, dopo l'interesse suscitato dallo spunto, si inceppa presto. Il personaggio di Stella è bene inciso, ma quello di Franco è così incerto, pur dovendo essere ambiguo, che finisce per non essere risolto, anche, se non soprattutto, in quel finale suscettibile di due possibili letture. Egualmente irrisolti i personaggi di contorno, il branco, la madre di lei, i compagni di lavoro. Con una regia che, pur tentando, per certe situazioni, delle ricerche cromatiche allegoriche, svela presto, sia nei momenti sospesi sia in quelli drammatici, un respiro corto. Che favorisce le stasi. Notevoli invece gli interpreti, Maya Sansa, che trova sempre per Stella accenti lacerati, Andrea Di Stefano, un Franco ferito, nel vizio, dai rimorsi. Senza sbavature.

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