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Anche il laser nella vita quotidiana di Pompei

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L'ultima scoperta: i romani usavano ampolle di vetro per cauterizzare le ferite grazie ai raggi del sole

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Per indagare e preservare l'ambiente naturale antico, sigillato dall'eruzione del 79 d.C., nel 1994 è entrato in funzione il Laboratorio di Ricerche Applicate della Soprintendenza Archeologica di Pompei; un centro scientifico che oggi è diventato uno dei fiori all'occhiello della moderna ricerca archeologica. Per saperne di più abbiamo intervistato Annamaria Ciarallo - biologa ambientale - responsabile del Laboratorio pompeiano. Le novità sono sorprendenti. «L'ultimo oggetto delle nostre indagini - ha spiegato la Ciarallo - è stato lo studio dei contenitori di vetro di epoca romana e soprattutto le tracce lasciate dal loro contenuto. L'invenzione del vetro fu un fatto sensazionale paragonabile solo al ruolo che oggi ha per noi la plastica. Abbiamo capito ad esempio che alcune ampolle riempite di acqua venivano utilizzate a mo' di un laser: convogliando in esse i raggi del sole si cauterizzavano le ferite. Una tecnica meno dolorosa del classico ferro rovente! Oppure abbiamo appreso che alcuni vasetti per unguenti, trovati nella villa imperiale di Oplontis, contenevano degli oli essenziali di patchouli che provenivano addirittura dalla lontana India, roba da veri nababbi, poiché i comuni mortali utilizzavano il semplice olio di rosmarino». Non meno interessanti le scoperte in ambito botanico. «Sempre ad Oplontis si sono trovate tracce di numerosi alberi di melagrana, un frutto dal quale venivano ricavati degli sciroppi medicinali le cui proprietà terapeutiche solo oggi sono state valorizzate dalla moderna medicina». Per restare in tema di piante da frutto la novità più curiosa riguarda i limoni. Fino a poco tempo fa si riteneva che quest'agrume fosse stato portato nell'Italia meridionale, nel X secolo, dai conquistatori arabi. Le analisi dei pollini pompeiani invece hanno provato scientificamente che il limone era già ampiamente coltivato nel territorio vesuviano e con esso il pesco e il ciliegio che i conquistatori romani (Lucullo e Pompeo) avevano importato dal vicino Oriente. «Pompei - ha proseguito la dottoressa Ciarallo - costituisce un caso unico al mondo. Tra breve saranno pubblicati i risultati delle ricerche sugli scheletri pompeiani, uno studio guidato da Maciej e Renata Henneberg dell'università australiana di Adelaide, da cui è stato possibile ricavare nuove e preziose informazioni sulle malattie più diffuse nella Pompei di età imperiale». L'ultimissimo progetto in cantiere - ci rivela la dottoressa - «riguarda i tessuti ricavati dalla fibra di ginestra». Proprio quest'ultima pianta, diffusa lungo le falde del Vesuvio e resa famosa dal poeta di Recanati, sarà al centro di un progetto di ricerca non meno interessante di quello sperimentato per i vitigni pompeiani.

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