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di GIAN LUIGI RONDI LA SORGENTE DEL FIUME, di Theo Angelopoulos, con Alexandra Aldini, ...

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1 del cinema greco, ci ha spesso proposto dei momenti significativi della storia del suo Paese filtrandoli attraverso casi privati. Come nella sua celebre trilogia che, partendo dalla fine della democrazia e dall'avvento della dittatura di Metaxas («I giorni del '36»), ci diceva degli anni dell'invasione nazista e della guerra («La recita»), per concludersi con l'inquieto lungo dopoguerra degli anni Settanta («I cacciatori»). Con «La sorgente del fiume» dà l'avvio a un'altra trilogia che, nelle sue intenzioni, dovrebbe poi coprire il Novecento quasi per intero. Il film di oggi comincia a Odessa nel '19 e si conclude con la fine della guerra. L'ottica, questa volta, lungo tutto l'arco dell'azione, è quella di una donna, Heleni, che incontriamo bambina quando, fuggendo da Odessa occupata dall'Armata Rossa, senza più nessuno dei suoi, trova riparo presso una famiglia nei pressi di Salonicco. Tutto quello che dopo le accade, due gemelli avuti da un giovane che si era legato a lei in quella famiglia in cui la loro relazione aveva suscitato scandalo, l'amore per lui, la fuga insieme, le difficoltà di tirare avanti che avevano indotto il giovane a emigrare in America, è scandito da eventi pubblici in cui Heleni perderà tutto, marito e figli figli compresi, travolti, chi militando da una parte chi dall'altra, dalla vicende alterne della guerra e della lotta partigiana. La costruzione narrativa, anche se vi ha posto mano il nostro Tonino Guerra (il titolo è quello di un suo racconto), non convince sempre. Secondo l'abitudine di Angelopoulos, vi predominano le ellissi, con il rischio di qualche oscurità, e i temi, i sentimenti, l'evolversi sempre in nero delle varie situazioni sono spesso troppo caldi perfino con delle scivolate nel patetico. Li riscattano in parte, però, i modi con cui sono visivamente rappresentati, specie nelle pagine corali. La fuga da Odessa, l'arrivo dei profughi, una inondazione che distrugge il villaggio cui la vicenda agli inizi è affidata, un funerale, alcune pagine di guerra diventano ode, lirica, elegia. Con un respiro epico sostenuto da immagini sempre dilatate (in mezzo solo piccole figure nere), rese più fluide dalle tecniche celebri dei "piani sequenza" che sono quasi la firma di Angelopoulos. Non bastano forse a coinvolgere, ma sono grande cinema.

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