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di NANTAS SALVALAGGIO C'È UN VENTICELLO che soffia sul Tevere, e si chiama nostalgia.

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Il problema quotidiano era riempire un vuoto: il vuoto dello stomaco. I supplì sotto i denti avevano il sapore della manna, e il massimo dei piaceri era la gita fuori porta, in tram. Gli studenti andavano a piedi, gli insegnanti in bicicletta, i professionisti in Lambretta e gli attori di Cinecittà in Cinquecento. Mezzo secolo fa, su quella Roma "povera ma bella", sbarcò una mattina una principessa esile, elegantissima, cinquanta chili scarsi di charme. Si chiamava Audrey Hepburn, ed era venuta a girare un film romantico al fianco di un divo di Hollywood, Gregory Peck. Dal momento in cui la coppia si mise a scorrazzare per via Veneto in Lambretta, capelli al vento perché il casco non era d'obbligo, la città non parlò d'altro. Si afflosciarono di colpo le polemiche tra stalinisti e papisti, tra Togliatti e De Gasperi, e il sogno di ogni diciottenne pariolina fu quello di incontrare Gregory alla pizzeria di via Belsiana. Sarà che i tempi sono diventati grami e nervosi, e un padre di famiglia non ce la fa più a soddisfare i perversi desideri dei figli per i "gadgets" elettronici, fatto sta che ci si volta indietro all'epoca paciosa dei nostri padri, e si vorrebbe tornare alla Roma evocata in quel piccolo gioiello filmico che è «Vacanze romane». Ci piacerebbe ritrovare una Roma vuota e pulita, dove Audrey si lascia corteggiare da un giornalista della buona società, ricco abbastanza da viaggiare su due ruote. E adesso sorprendetevi, gente: come per un colpo di bacchetta magica, quella Roma rivive in un teatro romano, il Sistina. L'ha dissepolta dalla propria memoria un mago del teatro, Pietro Garinei, che in un musical fantasmagorico ci ha restituito la principessa nei panni di Serena Autieri e il malioso Gregory sotto i panni ruvidi di Massimo Ghini. Non era un'operazione facile - e non lo è mai un remake - ma Garinei ha centrato il bersaglio perché lui c'era, nei giorni in cui Gregory portava Audrey sul sellino del suo scooter. C'era lui e c'era lo scriba che qui firma. Alla fine degli anni Quaranta, in coppia con Giovannini, Garinei era una sorta di ragazzo prodigio. Scriveva per il cinema, per i giornali, per il teatro. E di notte faceva giorno, in compagnia di noi cronisti pivelli in cerca di emozioni. Che tempi, ragazzi: succedeva di tutto fra piazza Colonna e Porta Pinciana. Curzio Malaparte viaggiava su una Oldsmobile color crema, decapottabile, comprata con i dollari che gli aveva procurato la traduzione in inglese di «Kaputt». Anna Magnani litigava a morte con Rossellini, che era sul punto di andare a Hollywood, per rapire una estasiata Ingrid Bergman. Emilio Cecchi, re della critica letteraria, leggeva o recensiva i nostri primi racconti. Mario Soldati piangeva (o fingeva di piangere) perché Alida Valli non lo aveva seguito nella sua camera al Grand Hotel. Eravamo sempre impiccati a qualche debito, incerti se ci avrebbero pagati il 27, e tuttavia eravamo felici. Silvana Mangano era bella e misteriosa come Monna Lisa, ma povera quanto noi, e si accontentava di cenare a caffelatte e cornetto. Per fortuna c'era il Marc'Aurelio, giornale divertente e generoso, che ospitava i racconti dei poeti affamati. Ci lavoravano Fellini, Metz, Steno, Marcello Marchesi. Io ereditai da Fellini, come un miracoloso vitalizio, una rubrica intitolata «Ore nove lezioni di chimica». Noi eravamo anemici e disperati, ma il teatro era vivo, il romanzo era vivo, e i giornali erano di poche pagine, ma assai sfiziosi. I commediografi si chiamavano Eduardo, Diego Fabbri, Ennio Flajano; gli attori Anna Magnani, Vittorio Gassman, Giorgio Albertazzi; i registi Luchino Visconti e Giorgio Strehler. Uscivano romanzi e racconti come «Roma» di Palazzeschi e «L'oro di Napoli» di Marotta, «Le libere donne di Magliano» di Tobino e «A cena con commendatore» di Mario Soldati. Chi aveva un appartamento con ingresso privato doveva essere un lord, noi abitavamo in camere mobiliate dove il bagno er

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