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Barzini, profeta del conflitto Russia-Giappone

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all'inizio del secolo scorso, più modestamente, si parlò di circostanza fortunata. L'indiscrezione di un addetto militare giapponese (il quale non si rese conto di parlare a un giornalista) consentì a Luigi Barzini di avere la certezza della guerra imminente tra il Giappone e la Russia, per cui partì per tempo alla volta dell'Estremo Oriente. Nel 1904, l'Europa viveva ancora tra i lustrini della «belle époque»; ma, all'altro capo del mondo, le cose erano diverse. La Russia zarista, per quanto minata da insanabili conflitti sociali e scompensi economici, ambiva a un impero in Asia e non teneva in gran conto la potenza emergente del Giappone, silenziosamente deciso a contrastare i piani egemonici dei russi. Errore di calcolo più macroscopico i dignitari, i generali, lo stesso zar Nicola II non potevano commettere. Barzini, che si era fermato per qualche mese a Pietroburgo, in parte comprese e in parte intuì le dimensioni della tragedia imminente. L'impero dei Romanov, poggiava su colonne esili come canne; corruzione, malversazione, nepotismo la facevano da padroni, mentre masse sterminate di contadini e le classi operaie vivevano una esistenza grama; la rivoluzione covava sotto la cenere. Era follia, in una situazione come questa, impegnare il paese in una guerra dispendiosa, a migliaia di chilometri di distanza dalla Russia europea. «More nipponico», i giapponesi attaccarono senza dichiarazione di guerra, anticipando a Port Arthur, contro la flotta russa, ciò che sarebbe accaduto trentasette anni dopo, a Pearl Harbor, contro la flotta degli Stati Uniti. Conquistando il dominio del mare, i sudditi del Mikado sciamarono in Corea e Manciuria, attaccando i disorganizzati russi. Si alzava il sipario sulla prima guerra moderna del Ventesimo Secolo: obici, mitragliatrici, sistemi elettrici di comunicazione, ma anche tattiche nuove furono collaudate sulle innevate pianure mancesi. Barzini visse la sua grande avventura, superiore a quella di qualche anno prima in Cina, durante la rivolta dei Boxers: il trentenne inviato condivise quella esperienza con l'allora maggiore e futuro Maresciallo d'Italia Enrico Caviglia, artefice di Vittorio Veneto. Sotto la Galleria, a Milano, i dispacci di Barzini venivano affissi e letti avidamente, mai immaginando che per spedirli, via telegrafo, l'estensore doveva percorrere a cavallo decine di chilometri, attraverso i campi di battaglia. Mentre si combatteva in Estremo Oriente, una folla inerme, che invocava riforme liberali, fu massacrata davanti al Palazzo d'Inverno e il mondo intero ebbe un moto di raccapriccio. Poi, ci fu l'ammutinamento della «Potemkin», potentemente rievocato dal regista Eisenstein. Come Luigi Barzini aveva previsto, Nicola II sedeva su un vulcano; la rivoluzione del 1917 era dietro l'angolo.

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