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FALLIMENTO DELL'ATEISMO

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Un anniversario, però, tutto in negativo per il regime. Segnerà, non solo il tramonto definitivo del marxismo in versione maoista, ma anche l'incredibile fallimento di una delle campagne più violente che siano state condotte nella storia moderna contro le religioni. Nell'Urss l'ateismo era crollato contemporaneamente alla disgregazione dell'impero sovietico. In Cina, invece, il comunismo è ancora in piedi, o almeno cerca di sopravvivere tentando un furbo quanto patetico "sposalizio" con il capitalismo, con il libero mercato; ma intanto lo spirito religioso ha ripreso forza, si sta allargando a macchia d'olio. E dunque, cinquantacinque anni di repressione, di imprigionamenti, di torture, di indottrinamento sistematico nelle scuole, di emarginazione dalla vita civile, non sono serviti a niente. Tutte le religioni sono via via uscite dalle catacombe. E c'è anche una setta, "Felun Gong", in continua espansione, e che fa tremare i polsi alle autorità comuniste. Il confucianesimo (per il legame con le tradizioni, con il culto degli antenati) e il cristianesimo (per la capacità di coniugare l'attenzione a Dio e l'attenzione all'uomo) sono già ridiventati un elemento di peso nella società, specie nel frenarne le derive secolaristiche. Insomma, un "ritorno di Dio", come sintetizza efficacemente padre Bernardo Cervellera, grande esperto, nel suo libro "Missione Cina". Ma, dove il fallimento della politica antireligiosa ha fatto registrare le punte più clamorose, è stato nei riguardi del cattolicesimo. Il regime non è riuscito a creare una Chiesa autonoma. Non è riuscito ad estirpare il fenomeno dei cattolici clandestini, rimasti legati al Papa. E adesso non riesce più a tenere sotto controllo neppure i vescovi "ufficiali", quelli che avevano aderito all'Associazione patriottica. Che cosa è accaduto? Per cominciare, è stato il marxismo stesso - con le sue promesse di giustizia mai mantenute, con la sua violenza, con la sua pretesa di spegnere la fiammella della fede - a decretare la "sconfitta" della campagna ateistica; e quindi, a rafforzare gli anticorpi nelle coscienze dei credenti. Ma poi, negli anni Ottanta, c'è stata la svolta decisiva. I vescovi "ufficiali" han cominciato a chiedere di riconciliarsi con Roma. Tutto è avvenuto in gran segreto: contatti epistolari, incontri, verifica sia dei motivi che avevano portato i presuli ad avvicinarsi al regime, sia della sincerità della loro domanda di perdono. Alla fine, è arrivato l'assenso del Papa, con il decreto di reintegrazione nel corpo episcopale. Così, oggi, l'85 per cento dei vescovi patriottici (in tutto una settantina) sono in comunione con il Papa. Per la verità, molti non lo hanno ancora annunciato pubblicamente: con il risultato che, in alcune regioni, persiste la divisione tra i due gruppi cattolici, e non si celebra un'unica eucarestia. Ma è già straordinaria questa evoluzione, e in un tempo relativamente breve. Nel giro di quattro mesi ci sono state - fatto eccezionale - due ordinazioni pubbliche di vescovi designati dal Papa e quindi confermati dalle autorità civili. La prima cerimonia, in settembre a Meizhou, è stata manipolata dai dirigenti comunisti locali; e solo alla fine il nuovo vescovo, seppure a voce bassa ed esitante, ha potuto far sapere ai presenti che era stato nominato dal Pontefice. Il 6 gennaio, festa dell'Epifania, c'è stato un analogo rito a Hengshui, e stavolta non si sono avute interferenze politiche. Il regime era stato per così dire "costretto" ad accettare la nomina del nuovo vescovo: nomina fatta dal Papa ma, prima ancora, richiesta da tutti i sacerdoti della diocesi. Ed ecco perché ora il problema delle relazioni diplomatiche tra Cina e Santa Sede sembrerebbe passato in secondo piano. Saranno probabilmente gli stessi cattolici cinesi - ristabilendo la piena unità tra di loro, e dimostrando di essere fedeli al Papa ma anche buoni cittadini - ad imporre al governo di Pechino il loro p

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