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di CARLO SGORLON DA CERTI segni che i giornalisti sanno cogliere, nel gran fiume della cultura ...

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che poi etimologicamente, vuol dire soltanto «amore per il sapere». Sarebbe il caso di dire, con Dante: «L'ombra sua torna, che era dipartita». Da tempo s'era detto che la filosofia ormai, nei nostri tempi, non poteva essere che storia della filosofia (Croce). Molti hanno sostenuto che l'ultimo grande filosofo sistematico sia stato Hegel, che aveva completamente immantentizzato l'attività speculativa, con quel suo gusto delle strutture ternarie, che si dice derivato dalla sua frequentazione giovanile della facoltà di teologia. Poi Marx, molto autorevolmente, disse che finora i filosofi si erano limitati a contemplare il mondo. Ora, finalmente, era venuto il tempo di cambiarlo. Nacquero le filosofie della prassi, che si occupavano di problemi concreti, sociali: la condizione degli operai, dei poveri, e così via. Senza dubbio ci furono altri grandi filosofi, soprattutto in Germania. Ma la grande svolta nel campo filosofico si era ormai verificata. Seguirono le filosofie positivistiche, gli esistenzialismi, i fenomenologismi, le filosofie del linguaggio e dell'analisi di esso. Tutte forme di teoresi «debole», che aveva rinunciato al sistema, alla metafisica, ad affrontare i problemi fondamentali dell'Essere, alle indagini che ammaliavano i filosofi antichi, innamorati di ricerche totalizzanti e dei «massimi sistemi» di interpretazione del mondo. Nei nostri tempi sembrava che i problemi dell'Essere fossero stati abbandonati ai fisici, e ai loro sistemi oggettivi di ricerca. Ma ora anche costoro, e gli astrofisici, sono arrivati a un capolinea. Non sanno più andare avanti con i loro mezzi di ricerca, neppure i più imponenti (i ciclosincrotoni). Hanno scoperto cose formidabili, senza dubbio: l'atomo, la sua struttura, l'equazione materia-energia. Ma è una specie di finis terrae. Non è più possibile osservare scientificamente i fenomeni subatomici. Forse, a parer mio, anche perché per osservare bisognerebbe usare la luce. Ma essa è costituita (almeno pare) da particelle chiamate fotoni. E come può essere possibile studiare i fenomeni ancor più minuti dei fotoni con la luce, ossia con i fotoni medesimi? Così oggi anche i fisici sono costretti a fare proprio ciò che non volevano, ossia delle ipotesi. Ipotesi di lavoro, ma sempre ipotesi. Uno dei loro padri più famosi, il Newton, diceva: «Ipotheses non fingo». Ma oggi non si può più procedere se non per mezzo di ipotesi, ossia con la fantasia, l'immaginazione e l'intuizioni. Se leggete l'ultimo libro di Stefen Hawking, non trovate che ipotesi, incomprensibili per i non addetti ai lavori. Ma tutto ciò ha per me un sapore allegro. Vuon dire un ritorno alla filosofia come invenzione, ricerca, fantasia. Vuol dire un ritorno alla metafisica, ossia a una speculazione totalizzante del reale, naturalmente non per raggiungere una verità totale e definitiva, ma perché si è riscoperto il piacere di indagare lo sterminato mistero del mondo. Il quale forse, al di là delle apparenze, del «velo di Maya», nasconde dimensioni insospettabili, che i matematici e i fisici sono in grado di ipotizzare. Ed è un fenomeno allegro perché è segno che gli uomini, almeno quelli più dotati e volenterosi, non si contentano più di possessi, di soldi, di successo, di cose, di un mondo «reificato», ma vogliono tornare a tuffarsi nel gorgo sterminato del mistero, perché ciò li fa sentire più umani, e più affini al loro enigmatico destino.

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