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Troppo tardi per trovare la cometa

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Quando si fosse verificato il portento celeste previsto nel penultimo libro di Zoroastro, saremmo partiti insieme verso l'Occidente. Non eravamo vicini di casa e non abitavamo neppure nella stessa città. Ciò, nelle terre sabbiose di Persia e quelle tra i Due Fiumi, vuol dire essere separati da decine e decine di giornate percorse a dorso di cammello. Tuttavia ogni tanto ci ritrovavamo in un caravanserraglio di Bagdad, di Ecbatana o di Bassora. I nostri saluti e abbracci erano simili a quelli di fratelli separati dalle contingenze della vita, quando si ritrovano. Insieme salivamo su uno zigurrat altissimo, costruito a terrazze come la torre di Babele, per osservare il corso delle stelle fisse e di quelle che percorrono il cielo secondo le loro orbite capricciose. Sapevamo che conoscere i movimenti e le congiunzioni delle stelle era come gettare uno sguardo sul destino degli uomini. Alla fine della Gäthá-Avesta avevamo letto che tra molti secoli si sarebbe vista in cielo una stella caudata, che era segno di un evento grandioso. Tutti e quattro eravamo convinti che il cielo forniva bensì i segni, ma non la loro interpretazione, che spettava a uomini come noi. Per questo la gente ci chiamava maghi, ed anzi eravamo considerati i re di questa categoria. Re-maghi. La stella caudata apparve davvero, e noi impiegammo molto tempo in discussioni per decidere quale potesse essere il suo significato. Eravamo tutti figli del deserto di sabbia e di quello cosmico, popolato da migliaia di stelle. E noi, legati, per così dire, a due vuoti, a due nulla, coltivavamo con ostinazione la speranza che i deserti finissero per generare dei Profeti o dei Messia. La stella caudata indicava la direzione dell'Occidente. Decidemmo di partire alla volta della Palestina. Alcuni cammellieri ci avevano parlato di Jerusalem, altri di Betlem, riferendo voci incerte che circolavano dalle loro parti. Ci demmo appuntamento per la luna nuova del mese di Samas. Ma qui cominciarono i miei guai. Partii da Ecbatana con tre cammelli e due servitori, ma a Ramadi, in Mesopotamia, giunsi con enorme ritardo. Uno dei nostri animali si era azzoppato e i miei servi non vollero proseguire finché non si fosse risanato. Il caravanserraglio di Bagdad ci trattenne per più di un mese. Ogni giorno mi levavo dal giaciglio con la convinzione bruciante che fosse tardi e i miei amici e colleghi fossero ormai in cammino senza di me. Il tempo dell'attesa è il più lungo e il meno significante, e non sapevo nemmeno come trascorrerlo. Finalmente, con il consenso dei miei servitori, ripresi il cammino. Nel tempo delle scelte concrete sono loro che comandano, e quindi nei viaggi è la loro parola a decidere le cose. Ci furono giorni di marcia nel deserto, tra sabbia infuocata e sole bruciante. Di giorno stavamo sotto le tende a dormire, o a cacciare le zanzare, e di notte riprendevamo la via. Ogni tanto rivedevo la cometa, nei cieli rossastri della sera, e le mie speranze si incrementavano di colpo. I miei domestici invece non la degnavano di uno sguardo. A loro interessava soltanto che i pasti fossero abbondanti e tranquilli, e che le inservienti delle locande fossero gentili. Nessun pensiero di Profeti, di Messia o di libri sacri li sfiorava. Vivevano giorno per giorno. Nulla poteva importare loro di meno che vi fossero segni prodigiosi nel cielo o piani superiori nelle strutture del destino. Così, mentre la mia ansia di eterno inquieto volava verso Ramadi, il luogo del convegno, il ricordo dei domestici continuava a fondersi con l'ultimo caravanserraglio, dove con poca spesa erano riusciti a stendersi sul giaciglio delle inservienti più giovani e disponibili. Cercavo invano di accelerare la velocità del viaggio. Loro si giustificavano dicendo che non si possono spronare i cammelli. Il loro passo è sempre uguale. Solo ogni tanto si mettono a correre, perché alle loro narici è giunto l'odore di una tempesta di vento. Finalmente arrivammo a Ramadi. I miei colleghi non c'erano pi

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