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di GIAN LUIGI RONDI ALEXANDRA'S PROJECT, di Rolf de Heer, con Gary Sweet, Helen Buday, Bogian ...

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Sia presso il pubblico e la critica, sia ai maggiori festival internazionali: a Cannes, ad esempio, con «La stanza di Cloe», a Venezia con «Bad boy Bubby» e, di recente, con «The Tracker». Oggi, arrivato al suo decimo film, conferma le sue doti di suscitatore di climi anche se poi, per una volta, non arriva a risultati davvero compiuti. L'inizio coinvolge subito: per degli accenti sospesi, delle allusioni volutamente inespresse e una cifra drammatica che sembrerebbe far presagire un thriller. Un marito, il giorno del suo compleanno, si sente promettere dalla moglie una sorpresa. È però l'opposto di quello che si aspettava perché, tornato a casa, la trova vuota e così serrata, con i telefoni muti, da sentire che sta per trasformarsi in una prigione. Le ragioni le comprende trovando un video in cui la moglie gli rinfaccia tutti i suoi torti, la sua fame di sesso che l'ha ridotta a una cosa, con una minaccia, alla fine, dopo alti a bassi con verità multiple, di lasciarlo per sempre, cancellando dalla sua vita anche i due bambini che ha già messo in salvo... La prima parte, con l'arrivo nella casa abbandonata, i primi segnali di possibili pericoli, quel marito in bilico fra il terrore, l'orrore e, a un certo punto, anche l'irritazione per quella che ritiene una manifestazione patologica della follia della moglie, è tenuta da de Heer in ambiti addirittura angoscianti, con ritmi tesi. In seguito, la lunga perorazione della donna dal video, una gratuita insistenza su temi erotici enunciati in modo addirittura estremo, provocano una frattura decisa: nella narrazione e nello stile. Rischiando persino la ripetitività. E senza conclusioni plausibili. Riscattata in parte dai due interpreti, Gary Sweet, il marito, Helen Buday, la moglie. Con mimiche forti.

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