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Patti Smith da star ribelle a madre felice

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Incontro con la cantante rock il 25 ottobre riceverà a Sanremo il Premio Tenco alla carriera

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Indossa un paio di blue-jeans sfilacciati, una maglietta sbrindellata, un berretto di lana in testa, e al collo una croce. A 57 anni, con due figli di 15 e 20 anni e il suo quaderno di poesie sotto il braccio, Patti Smith sembra un'altra donna. «In questo momento - dice - ciò che m'interessa è fare bene il mio lavoro, essere una brava mamma, mantenermi in salute e aiutare i movimenti per la pace. Mi piace anche pregare e vado in chiesa, ma il mio Dio è in continua evoluzione». La sua vita non è stata facile: la droga e l'Aids le hanno portato via alcuni dei più cari amici, l'alcool ha ucciso suo marito e una terribile malattia ha condannato a morte suo padre e suo fratello. Ma forse è proprio il coraggio che le è servito per superare simili tragedie e che nel corso degli anni Ottanta l'ha aiutata a uscire dal suo mito, ossia a smettere i panni della star ribelle per vestire quelli di un'anonima madre di famiglia, a farne, oggi più che mai, la ragazza indomabile di sempre. Tutto è pronto, al Teatro Ariston di Sanremo, per il ritorno della cantante e poetessa che ha messo in musica le inquietudini, le trasgressioni e le speranze della beat generation: il prossimo 25 ottobre, infatti, la dolce e graffiante Patti, che ha ricevuto uno dei quattro Premi Tenco alla carriera riservati a cantautori internazionali, salirà sul palcoscenico più musicale d'Italia nell'ambito della rassegna della canzone d'autore intitolata a Luigi Tenco. Alla poetessa del rock domandiamo cosa sia rimasto della ragazza di vent'anni che in un'intervista disse: «Mi chiamo Patti Smith e nessuno mi conosce, ma le garantisco che un giorno sarò una stella». «Davvero ho detto questo?» risponde un po' sorpresa. Sì, era appena arrivata a New York col suo amico, il fotografo Mapplethorpe. «Eravamo due ragazzi in cerca di un buco in cui dormire. In realtà non aspiravo affatto a diventare una star, speravo solo di trovare un lavoro e un po' di soldi per mangiare, in modo da affrancarmi dalla mia famiglia e dal fardello della religione». Era così oppressivo? «La mia famiglia era seguace dei testimoni di Geova, ma io ne uscii a 13 anni. Quando ripenso alla mia infanzia, vedo sempre mia madre che m'insegna e leggere e a pregare, due cose che sono state entrambe importantissime nella mia vita». Però poi imboccò una strada totalmente diversa... «Sì, con Mapplethorpe ci mettemmo ad esplorare alcuni sentieri oscuri. Io parlavo per gli emarginati, gli omosessuali, i tossicodipendenti, le donne oltraggiate, per la gente che non aveva voce, cercavo di farle coraggio. C'erano troppe persone sole che avevano bisogno di qualcuno che si occupasse di loro». Ma perché faceva tutto questo? «Perché anch'io ero stata una di loro, ero stata nell'inferno. E poiché ero molto più forte, volevo far loro dono di un po' della mia forza». Lei dunque pensa di essere stata un'emarginata. «Le dico di più: lo sono tuttora, perché per un cittadino americano opporsi all'attacco contro l'Iraq significa farsi relegare ai margini della società. Una mia canzone dice: "Mi troverai fuori della società"». Comunque lei a 27 anni era già una leggenda. «Non me ne rendevo nemmeno conto, e certo non mi sono mai data da fare per diventarlo. Anzi, nel corso della mia vita ho spesso preso decisioni che avrebbero potuto farmi dimenticare dal pubblico. Alludo per esempio al mio ritiro dalle scene, durato ben sedici anni e iniziato all'indomani del concerto più trionfale della mia carriera, a cui avevano assistito 85.000 persone. Me ne andai a vivere in un sobborgo di Detroit con mio marito Fred, il chitarrista degli MC5. Di giorno facevo il bucato e cambiavo pannolini, di notte continuavo a scrivere». Lei è sopravvissuta a tutti e a tutto. «Ho vissuto una giovinezza "estrema", ho consumato molte droghe, ma sempre rispettandole, non per stordirmi insomma, ma con lo spirito con cui gli Indiani ne hanno sempre fatto uso. Ossia come un

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